Piero Angela, quella sera a cena a parlare di dinosauri e mafia

Ognuno ha i suoi idoli e miti. Il mio era Piero Angela, sin da bambino. Il colpo di fulmine ci fu quando lo vidi per la prima volta passeggiare tra i dinosauri su Rai1. Era una serie speciale dedicata ai dinosauri. Ce l’ho ancora tutto su VHS, gelosamente custodito tra le mie cose. 

Capirete quindi l’euforia quando nel 2018, nel giorno del mio onomastico, mi si è presentata l’occasione di cenare con lui. Eravamo a Fano, al Festival della Saggistica. Lui riceveva il premio Andrea Barbato, altro grande giornalista Rai di cui si è perso lo stampo. Lo seguivo come un’ombra, con la mia macchina fotografica: solo in quelle due ore avrò fatto più di un migliaio di foto. E grazie a Giovanni Belfiori, direttore del Festival, mi sono ritrovato a fianco a lui a cena. Io a capotavola, lui di fianco.

Il sogno di una vita: cenare con Piero Angela. Ma che gli racconti a uno così, senza rischiare di risultare banale, scontato, se non addirittura repellente? E invece alla soglia dei 90 anni, con la vita straordinaria che aveva già vissuto, riusciva a mettere a proprio agio chiunque. E abbiamo iniziato a parlare come se ci conoscessimo da una vita. E nonostante fossi un pischello ai suoi occhi, non ha mai smesso di darmi del Lei. 

Io nel presentarmi lo chiamai “Maestro“, lui subito mi corresse: “La ringrazio, ma io non sono un maestro, mi limito a fare il divulgatore. I veri maestri sono altri“. Ovviamente non era così. Ho imparato di più da lui in quella sera a cena, che in un’intera carriera universitaria. 

Quando gli dissi che avevo la passione per i dinosauri grazie a lui e che se non avessi scelto la via del sociologo avrei voluto fare l’archeologo, mi raccontò che quei bestioni meccanici, ricostruiti nei minimi dettagli, sono ancora da qualche parte in qualche capannone Rai: “Eravamo all’avanguardia, poi è arrivato Spielberg con Jurassic Park subito dopo con gli effetti speciali ed eravamo diventati di colpo obsoleti nel giro di pochi mesi“. Non so dopo 30 anni in che condizioni siano quei giganti meccanici, ma se sono ancora in buone condizioni, la Rai dovrebbe decisamente ritirarli fuori.

Dopo due ore a firmare copie del suo libro, si dovette fermare, era troppo stanco. Sorridendo, prima di andare a cena, mi disse: “Con mio figlio facciamo a gara a chi rimane più tempo a firmare copie. Lui una volta fece 8 ore, ma il mio record di oltre 9 ore non l’ha mai battuto“.

Gli chiesi una foto, prima di cenare, “Le conviene che la facciamo ora, perché dopo non si sa mai“. Mentre scattavo il selfie, lo chiamarono e guardò fuori camera. Ero troppo in soggezione per chiedergliene un’altra.

A tavola gli chiesi una dedica sul suo libro per mia sorella. E mi colpì subito perché mi chiese cosa facesse nella vita: “la biotecnologa, fa il dottorato di ricerca“, dissi. E spese una buona decina di minuti a farle una dedica ragionata, pur non conoscendola, complimentandosi per il suo lavoro. Persino le dediche sui libri erano dei capolavori.

Quando gli dissi che mi occupavo di studiare il fenomeno mafioso, e in particolare del rapporto tra mafia e capitalismo, mi ascoltò con interesse, ma “stia attento a come si muove“. E subito dopo mi raccontò che avrebbe sempre voluto parlare con Giovanni Falcone. Era assetato di conoscenza, in ogni campo. 

Quando ebbi un altro grande privilegio, quello di chiacchierare con suo figlio Alberto, mi disse che lui “da collega” stimava suo padre per essere rimasto ininterrottamente in video per oltre 60 anni. Tutti in Rai. Sul punto, gli chiesi se non avesse avuto voglia di cambiare e mi raccontò di quando Berlusconi gli offrì una cifra stratosferica per andare a Mediaset. “Ma io alla fine mangio due volte al giorno e non mi manca niente: cosa dovevo farmene di tutti quei soldi?“. Anche quando Letizia Moratti, presidente Rai nominata da Berlusconi nel 1994, gli chiese di fare il direttore di rete, rifiutò: “Non è il mio mestiere“. 

Piero Angela era un patrimonio del Paese, come Raffaella Carrà. Un galantuomo che entrava con cortesia nelle nostre case con le sue trasmissioni, dimostrando che gli ascolti ci sono anche quando porti scienza, arte e cultura in prima serata. Ne avessimo avuti più come lui, oggi forse il nostro Paese sarebbe diverso da quello che oggi è.

Nella sua lettera di commiato, in cui ci ha ricordato che “la natura ha i suoi limiti“, ci sprona a fare tutti la nostra parte per questo nostro difficile Paese. Sarà difficile eguagliarlo, ma la strada è quella che lui ha tracciato: universalizzare l’accesso alla conoscenza, divulgarla e renderla comprensibile a tutti indipendentemente dalla propria formazione

Se vogliamo darci una speranza, questo è quello che dobbiamo fare. Addio, Maestro. Lo è proprio stato. Peccato che la natura abbia i suoi limiti: in casi come il suo, non dovrebbe averne.

piero angela pierpaolo farina