La cosa buona di #Gentiloni

Francamente, non mi unirò al coro di quelli scandalizzati per l’incarico a Paolo Gentiloni di presiedere il governo post-referendum: solo un ingenuo poteva davvero credere che, dopo la sceneggiata del “resto/non resto”, Matteo Renzi accettasse di farsi sostituire da qualcuno che avesse anche solo una remota possibilità di risultare indipendente rispetto ai suoi desiderata.

Il Presidente incaricato non è quella figura di alto profilo, ma nemmeno è per Renzi quel che Cirino Pomicino era per Giulio Andreotti, quindi per il disbrigo degli affari correnti e il varo della nuova legge elettorale è decisamente meglio delle altre ipotesi, tra cui quella suicida di un reincarico a Renzi, poi tramontata dopo quei sondaggi devastanti arrivati nel quartier generale del giglio magico.

Vedremo e giudicheremo la lista dei ministri non appena saranno rispettati tutti gli equilibri e saranno finite le trattative tra PD, Alfano e Verdini, quel che ci preme sottolineare è che anche nel giorno dell’addio Matteo Renzi ci ha dovuto ammorbare con quella retorica stucchevole del “perdente” che torna a casa da semplice cittadino, quale non è mai stato e quale non sarà mai.

Anzitutto perché non è vero che non ha più una poltrona: si tiene ben stretta quella di Segretario del Partito Democratico, quando aveva promesso di lasciare per sempre la politica in caso di sconfitta al referendum. Uno stipendio invece, volendo, può attenderlo: da dirigente dell’azienda di papà, la Chil srl, dove fu assunto a 9 mesi dall’elezione a Presidente della Provincia e a 11 giorni dalla candidatura per l’Ulivo. Da allora per 10 anni l’uomo che rivendica di tornare a casa senza vitalizio (che sforzo, non ne ha diritto, non essendo mai stato parlamentare) si è fatto versare a spese dello Stato i contributi previdenziali da dirigente. Salvo poi dimettersi dall’azienda quando scoppiò lo scandalo nel 2014, senza però rinunciare al TFR (circa 48mila euro). Se c’è qualcosa di più insopportabile della retorica dei “costi della politica” (usata come clava quando conviene per raccattare i consensi ma mai veramente aggrediti nei loro sprechi più indecenti) è quella stessa retorica fatta da chi, avendone avuto la possibilità, se ne approfitta quando è un suo diritto mentre rivendica non ben precise purezze quando invece questo diritto non ce l’ha e accusa gli altri (ovviamente tutti cattivi).

Una cosa buona della figura pacata di Gentiloni al governo c’è: non saremo costretti a sorbirci ogni santissimo giorno in ogni dove questa retorica populista e demagogica, a cui l’oramai ex-premier non ha voluto rinunciare nemmeno nel suo ultimo post su Facebook, un concentrato di falsa umiltà, ipocrisia e, soprattutto, di arroganza, la stessa che lo ha portato a fare un discorso-monologo in Direzione dove, oltre a ribadire per l’ennesima volta i “meriti” del suo governo, si è comportato come se non avesse perso.

Del resto, aveva promesso che non sarebbe andato al governo con inciuci di Palazzo e invece ci è andato, davvero c’era qualcuno che credeva che avrebbe abbandonato la politica? Se fosse successo, sarebbe cascato tutto il giglio magico, con relativa possibilità di influire sulle nomine delle varie partecipate in scadenza. Dopotutto, come ha fatto notare Nando dalla Chiesa, ha piazzato più fiorentini a Palazzo Chigi Matteo Renzi di quanto fece De Mita ai suoi tempi con gli avellinesi: Renzi avrà pure promesso agli italiani di lasciare la poltrona, ma loro no, vi pare?

Ultima considerazione: dopo anni di retorica sulla “sinistra-sinistra irresponsabile” (come l’ha definita di recente un Michele Serra oramai completamente “sdraiato” su posizioni reazionarie), abbiamo avuto il campione del centrismo che ha provocato due crisi di governo extraparlamentari (dato che in Parlamento la maggioranza è la stessa) e ha mandato al voto anticipato la Capitale d’Italia, consegnandola nelle mani del Movimento 5 stelle. Non male per uno “responsabile”, figuratevi se non lo fosse stato.

Prepariamoci a un governo per interposta persona, quindi: l’unica speranza, davvero, è che Gentiloni sappia restituire, almeno alle istituzioni, quello stile a loro consono di cui hanno bisogno. I “populismi” di opposizione, infatti, non si sconfiggono con un “populismo” di governo, che nei fatti produce molti più danni, come la recente legge finanziaria ha dimostrato.

7 commenti su “La cosa buona di #Gentiloni”

  1. Sappiamo e sai benissimo che la “cosa buona” è ben “poca cosa” e credo di interpretarla giustamente come una tua affermazione ironica. Complimenti poi per il “sintetico servizio”, che in poche righe fornisce i dati di un quadro desolante, cose ben conosociute dai più attenti, ma graffianti ed esposte con un linguaggio alla portata di tutti. Grazie

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