L’umanità può migliorare

In questi tempi si diffonde un pericoloso spirito disfattista: pare che l’essere umano sia incapace di migliorarsi e che tutto nei tempi si ripeta uguale a se stesso, quindi non vale la pena impegnarsi per il progresso. Una comoda giustificazione dello status quo, che però non corrisponde alla realtà. Per dare qualche solidità all’idea di un’effettiva elevazione dell’umanità nella storia è possibile richiamare le opere dell’importante sociologo Norbert Elias sul “processo di civilizzazione”.

Egli osserva che le cronache del Medioevo e le ricostruzioni storiche successive attestano indiscutibilmente un dato: la società occidentale era un vero inferno. Nella mentalità medievale la violenza si trova ovunque, persino negli eventi ludici e religiosi (tornei cavallereschi, auto-flagellazioni, roghi di animali). Per non parlare poi della frequenza di omicidi, linciaggi e duelli per superstizioni o futili motivi legati all’onore, nonché di torture ed esecuzioni di condannati nelle piazze. Poi qualcosa cambia. Nei secoli, soprattutto a partire dal Settecento, si comincia a non considerare più la violenza un valore positivo e le classi dominanti fondano la propria legittimazione sulla cultura, l’educazione, l’igiene e l’autocontrollo. Nascono le dottrine abolizioniste della tortura e della pena di morte, il riformismo illuminista, il rifiuto per chiunque di farsi giustizia da sé. Giungiamo così ai giorni nostri, in cui la democrazia, i diritti umani e l’eguaglianza sostanziale sono le basi delle Costituzioni occidentali (e non solo).

Perché è avvenuto questo passaggio? Elias spiega che, aumentando la densità della popolazione e la complessità della struttura sociale, logiche conseguenze del progresso scientifico ed economico, si sia reso necessario per la pacifica convivenza reprimere gli istinti più violenti e animaleschi degli individui. Nei secoli questo ripudio è stato sempre più profondamente interiorizzato, di pari passo con le rivoluzioni economiche e tecnologiche. In pratica, la società disciplina e civilizza l’individuo*.

Adesso proviamo a rielaborare autonomamente e in maniera libera il pensiero di Elias per dare un’interpretazione del presente alternativa a quella disfattista. Abbiamo visto che la civilizzazione si accompagna all’aumento della complessità della società (nonché all’incremento della popolazione), che è fondamentalmente dovuto all’evoluzione della tecnologia e dell’economia. Si presume che questo sviluppo continuerà ancora a lungo, in futuro: la “distruzione creatrice” è una caratteristica fondamentale del capitalismo! Dunque anche il processo di civilizzazione dovrebbe continuare di pari passo.

Basta questo a garantire che l’umanità è destinata al progresso? Certo che no, altrimenti sfoceremmo nel determinismo storico. Infatti, se da una parte l’interiorizzazione dei valori nella società è stata (e continua ad essere) incessante, in ogni era è anche esistita un’istituzione dotata del potere di dirigere questo processo verso un’ideologia o un’altra. Nel feudalesimo era la Chiesa, oggi è lo Stato. Il suo ruolo è appunto quello di stabilire le leggi da applicare tramite i suoi apparati coercitivi (magistratura, polizia, esercito), ma già da Gramsci sappiamo quale importanza abbiano gli apparati ideologici (scuola, mezzi di comunicazione, cultura, religione, famiglia) per legittimare quel sistema di norme. Se si vuole essere sicuri che una regola venga rispettata non c’è modo più sicuro di favorire la sua interiorizzazione, al punto che gli individui la considereranno quasi un dato naturale. Quando ciò avviene non c’è più bisogno di impegnare gli apparati coercitivi a far rispettare questa norma, ma basterà mantenere vivi nella società i valori che la ispirano. È anche per questo motivo che si spiega la crescente importanza, negli ultimi secoli, della propaganda e dell’istruzione di massa, e il declino dell’uso brutale della forza pubblica.

Posto questo ruolo cruciale dello Stato, è una questione vitale che le forze politiche socialiste e comuniste ne ottengano il controllo. Peraltro a lungo andare il processo di civilizzazione entrerà sempre più in contrasto con lo sfruttamento capitalistico. Infatti come oggi rabbrividiamo leggendo le testimonianze sulla vita dei proletari nell’Ottocento, un giorno i popoli inorridiranno per l’alienazione a cui sono condannate le masse lavoratrici, per i gravissimi danni alla natura, per le ingiustizie sociali provocate dall’insaziabile egoismo di un’élite economica. Quanto più aumenteranno le contraddizioni, molto più alta sarà la probabilità che gli anticapitalisti prendano il potere.

Una volta ottenutolo sarà possibile trasformare progressivamente la società in senso pienamente democratico ed egualitario, con l’aiuto di una tecnologia al servizio dell’umanità e non del profitto. Una tecnologia che liberi le masse dal lavoro usurante, dall’ignoranza e dalle malattie. Questo progresso scientifico interamente al servizio dell’essere umano, unito all’azione crescente degli apparati ideologici, non farà che aumentare esponenzialmente la civilizzazione umana. Così, prima o poi nei secoli si potrà raggiungere una condizione in cui non sarà più necessaria la presenza di un apparato coercitivo che obblighi gli individui a rispettare delle norme, perché l’essere umano sarà così evoluto e civilizzato da autogestirsi senza controllori. Si può affermare che in questa fase di ultra-civilizzazione lo Stato e il potere stesso si estingueranno per manifesta inutilità, lasciando posto ad una società libertaria senza classi né gerarchie. Ecco concretizzarsi finalmente la società comunista teorizzata da Marx ed Engels.

Non siate disfattisti. Il destino dell’umanità si comincia a costruire nelle strade del mondo di oggi.

* Certo, si potrebbe obiettare che se è davvero così che vanno le cose, come spiegare clamorose parentesi brutali come il nazifascismo e le guerre mondiali? Nella maggior parte dei casi si tratta di periodi di transizione nei quali si stanno verificando profonde trasformazioni sociali. La reazione ad essi può anche essere tutto sommato non violenta (il Sessantotto, ad esempio) o in altri casi tragica. Tutto è in mano alla capacità della società civile o del potere politico di trovare un equilibrio nel gestire di volta in volta i mutamenti della struttura sociale.

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