#TrumpPresident, perché i sondaggi sbagliano

Puntuale come un orologio svizzero all’indomani di ogni grande elezione ricominciano a susseguirsi per il web i cori sull’abolizione dei sondaggi nelle campagne elettorali, accusati di essere oramai inattendibili e inutili. Lo stratosferico risultato di Donald Trump, che ha umiliato una Hillary Clinton data per vincente da tutti (tanto che l’Eliseo aveva preparato una sola lettera di congratulazioni per la candidata democratica).

Vedere durante la notte le previsioni dei sondaggisti sul sito del New York Times cambiare di minuto in minuto, con la Clinton, data all’85% di probabilità di vittoria fino a prima dello spoglio, salire al 93% alla chiusura dei seggi per poi scendere al 5% man mano che arrivavano i dati reali ha qualcosa di fantozziano.

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Ma perché accade questo? Anzitutto, i sondaggi non sono inutili, quando sono fatti bene. Per prevedere con un margine di errore dei 3% un risultato elettorale basta un campione di 800 soggetti. Perché da una decina d’anni a questa parte (ma vi sono anche illustri precedenti) i sondaggi non riescono più a imbroccarne una? Ci sono due ordini di risposte, quelle tecniche e quelle politiche, che sono strettamente intrecciate.

Sul fronte politico, il problema è che la sfera sociale e quella politica non coincidono più, da questo consegue il problema tecnico, cioè la costruzione di un campione statisticamente rappresentativo. Senza, qualsiasi sondaggio risulta assolutamente inattendibile.

Perché è così difficile oggi costruire un campione statisticamente rappresentativo? Perché con la scomparsa delle ideologie, esattamente 27 anni fa con la Caduta del Muro di Berlino (in realtà, con la vittoria di una delle due ideologie, quella capitalista, poi divenuta egemone perché senza rivali) il voto non è più identitario e la volatilità elettorale è altissima; lo è ancora di più in un sistema, come quello americano, storicamente dominato da una distinzione sfumata tra destra e sinistra, che però in questi anni, causa crisi economica, è andata polarizzandosi su un’asse che è pro o contro Wall Street.

Inoltre, l’evoluzione degli strumenti e delle tecniche di analisi, con algoritmi sempre più sofisticati in grado di leggere milioni di dati (a partire dal sentiment sui social media) hanno finito per instillare la convinzione nella stragrande maggioranza degli analisti politici e dei sondaggisti “nuovo stampo” che sia sufficiente leggere la realtà attraverso l’elaborazione informatica e digitale, perseguendo un approccio eminentemente quantitativo. Eppure, il frangente decisivo che determina un risultato elettorale è determinato proprio da quel semplice atto nella solitudine della cabina elettorale che è imprevedibile, anche per via del fatto che molti non amano dichiarare le proprie appartenenze politiche proprio in virtù di un decadimento delle ideologie.

Prima la politica era l’argomento più importante in Occidente e lo scontro tra prospettive politiche e ideali era fortissimo: dichiarare la propria appartenenza politica era un vanto. Oggi, con l’imbarbarimento della politica ridotta a mero spettacolo e lotta per il potere, questa fierezza identitaria non c’è più: ci si limita a scegliere il meno peggio, non per la società, bensì per se stessi. Non è un caso che una ricerca di qualche anno fa condotta da Emanuele Farragina segnalasse tassi di familismo amorale molto alti in paesi capitalisti maturi.

Non è un caso i ricercatori sociali oramai parlano di “effetto Flash Forward“, cioè il cambiamento di opinione all’ultimo momento dell’elettore, dopo aver preso coscienza dell’impatto del risultato elettorale sul loro personale futuro. Insomma, il vantaggio nei sondaggi non assicura alcuna vittoria, semmai prova a produrla: l’unica forza predittiva di un sondaggio dipende dalla sua capacità di avere influenza diretta sul voto, di convincere larga parte degli “indecisi” (ormai strutturalmente la maggioranza) a confermare il risultato suggerito. Sono diventati oramai quindi più un’arma politica che uno strumento scientifico al servizio della politica.

Anche per questo i sondaggi non funzionano più: non sono più sondaggi. E del resto ai tempi della Politica che non è più politica ma solo spettacolo mediatico non potrebbe essere diversamente.

9 commenti su “#TrumpPresident, perché i sondaggi sbagliano”

  1. scusate, ma chi se ne frega ? i sondaggi sono né più né meno strumenti per influenzare il voto. Preoccupiamoci invece del significato che diamo alla parola democrazia ed a che cosa ci viene spacciato come democrazia

  2. Perche’ misurano la temperatura di un giorno e perche’ molta gente non ha voglia di fare outing…e poi un po’ di manipolazione. La gente comune interpellata cambia idea da un giorno all’altro.

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