#BastaUnSi, ma dove sta il riformismo?

Sembra che la Riforma Costituzionale sia letta dal semi-serio apparato renziano e dai rimasugli di quello post-comunista come il terreno ultimo e campale della battaglia per il progresso della Repubblica Italiana: senza la Riforma l’Italia precipiterebbe nel caos istituzionale, in quanto sprovvista di sistema moderno ed efficiente capace di essere al passo coi tempi; senza la Riforma, e dunque con i suoi oppositori politici (da Sinistra Italiana alla Lega Nord, da Fratelli d’Italia a CasaPound passando per il Movimento Cinque Stelle), l’Italia verrebbe gettata fra le grinfie di comunisti reazionari, fascisti, nazisti, corruttori, uomini navigati e senza scrupoli.

L’immagine che la comunicazione di #BastaUnSi sta cercando di cucirsi addosso è quella di un fronte del Sì progressista ma moderato, innovatore ma fedele alla tradizione riformista (che il PD sostiene di aver inglobato) contro un “frente amplio” del No zeppo di personaggi ragguardevoli, skinhead e nostalgici di tutte le salse.

In un tema campale come la Costituzione discutere delle persone che per ragioni politiche hanno scelto di sostenere il Sì o il No è improduttivo e bisognerebbe cercare – come faremo nei nostri speciali – di entrare nel tanto millantato merito della Riforma.

Un piccolo appunto va però fatto ai promotori di questa Riforma Costituzionale. Il riformismo in Italia ha una nobile tradizione tutta socialista: Turati, Treves, Salvemini, Rosselli, Matteotti sono fra i massimi esponenti e pensatori del Socialismo italiano, tutti accomunati dal forte amore per la democrazia e per un progresso graduale e inarrestabile verso il Socialismo.

I supporter di #BastaUnSi dovrebbero guardarsi per un secondo allo specchio e domandare a se stessi: «Cosa c’entra questa Riforma con il riformismo socialista e il progressismo?»

La nostra risposta a loro? Nulla.

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