#DarioFo, il giullare mai in ginocchio

“In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po’ le teste. Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa.”

Ti svegli, prepari il caffè, accendi la televisione: è morto Dario Fo. E quelle quattro parole scritte in grassetto in sovra-impressione sono la vera sveglia, o meglio dire la sberla, della giornata. Di lui ho un bellissimo ricordo, una telefonata di un quarto d’ora quattro anni fa quando era ancora viva Franca in cui lui, un premio Nobel per la letteratura, si scusava con me, un ragazzo che non aveva mai conosciuto prima di quella telefonata, perché era già impegnato il giorno di un evento che stavamo programmando in Statale, ma rilanciò con un invito alla mostra che in quei giorni c’era a Palazzo Reale a Milano.

 Non basterebbe un articolo, ma ce ne vorrebbero molti per descrivere la vita e l’opera di questo “giullare”, come amava definirsi lui, che negli ultimi tre anni per altro risultò parecchio indigesto alla Sinistra tradizionale per il suo appoggio al Movimento 5 Stelle (che qualche sguaiato trinariciuto definì una “conseguenza” della “demenza senile”). Ora è un coro unanime di cordoglio, che durerà giusto il tempo dei funerali. Se c’è però una cosa che a Dario Fo non si può proprio rimproverare è quella di essersi inginocchiato al Potere: lo ha sempre sbeffeggiato e deriso, assolvendo la più nobile delle sue funzioni. Lo ha fatto attenendosi ai dettami del capostipite della sua categoria, quel Bertoldo antico buffone della nostra tradizione popolare che rifiutò di inchinarsi davanti al suo Re, Alboino, con un’argomentazione valida ancora oggi: “tutti siamo di terra, tu di terra, io di terra, e tutti torneremo in terra; dunque la terra non deve inchinarsi alla terra.

Alboino, incapace di controbattere, escogita allora uno stratagemma (poi usato anche Gabriele D’Annunzio nel suo ufficio al Vittoriale) per difendere la sua legittimità e il suo potere di fronte agli altri servitori: fa abbassare l’uscio della sala del trono talmente tanto che chiunque fosse entrato avrebbe dovuto chinare il capo al suo cospetto. Del resto, tutti i capi sono fatti così: di fronte ai servitori più riottosi, da cui non ottengono la genuflessione di anima e mente, cercano sempre di ottenere quella fisica. Ma Bertoldo, come tutti i buffoni, sa come aggirare i suoi trucchi: al posto di chinare il capo e abbassarlo, si volta di schiena ed entra all’indietro calandosi i pantaloni e rendendo omaggio al Re con le natiche.

Ecco, questo è stato l’approccio al Potere di Dario Fo: quando il Potere volle genuflessioni, di qualsiasi tipo, lui lo onorò con le natiche. Fosse un Potere con le sembianze della Sinistra o della Destra. Questa è forse la lezione più importante che ci lascia. Lui, ma anche Franca Rame, l’altra metà del cielo, scomparsa tre anni fa. Una coppia straordinaria e inossidabile, che avrà ancora molto da dire, come tutte le grandi cose, anche negli anni a venire. Rendere omaggio a quel buffone mai chino di fronte al Potere è quello di continuare noi, ogni giorno, a non farlo.

12 commenti su “#DarioFo, il giullare mai in ginocchio”

  1. Questi fatti ci fanno capire quanta poca buonafede c’è nella RAI. Hanno paura che anche da morto possa portare.gli animi di.tutti oltre…come Lui e.la.sua Franca sono sempre stati nella vita. Ora si chiude un importante capitolo della nostra storia. GRAZIA per.tutta la forza.ed il coraggio.avuto da sempre…

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