A Torino condannano #Regeni (e la ricerca sociale)

Due mesi di carcere per concorso morale in violenza aggravata e occupazione di terreni. Mentre in Italia chiediamo verità e giustizia per Giulio Regeni, ucciso dai servizi segreti egiziani per la sua tesi di dottorato sul movimento sindacale egiziano anti-governativo, in Italia questa è la condanna inflitta dal GUP Roberto Ruscello a Roberta Chiroli, 29 anni, laureanda in antropologia alla Ca’ Foscari di Venezia con una tesi dal titolo “Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità”

La sua colpa? Essersi attenuta alle tecniche fondamentali della ricerca sociale qualitativa e aver svolto il suo lavoro di antropologa come prescrivono oltre 60 anni di prassi consolidata della disciplina. Ha raccontato cioè le pratiche del movimento NoTav raccogliendole sul campo e partecipando a una manifestazione, in cui ha osservato direttamente i fatti. Non solo, ha usato anche la tecnica narrativa che ha contraddistinto capolavori di ricerca come Street Corner Society di William F. White, cioè la prima persona, ma per il giudice questa sarebbe la prova del concorso morale, benché più di un testimone abbia confermato il ruolo da “osservatore” della giovane ricercatrice.

Qualcosa di assurdo, che può succedere solo in un’Italia dove si ignorano completamente i fondamenti della ricerca sociale e la sua importanza nella comprensione di fenomeni complessi che qualcuno vorrebbe derubricare a qualche etichetta buona da stare in un tweet. In un colpo solo, il GUP mette fuorilegge l’osservazione partecipante, gli studi di comunità e la ricerca sociale qualitativa in generale.

Questa è una vergogna che dovrebbe portare il mondo accademico della ricerca ad esprimersi in maniera chiara e forte contro questo scempio ai danni della scienza e della ricerca della verità: in Italia Giulio non sarebbe stato ucciso, ma avrebbe trovato un giudice pronto a condannarlo a due mesi di carcere per la sua tesi di dottorato. Quindi, se protestiamo e ci indigniamo per lui, non possiamo non farlo anche a favore di Roberta e abbiamo il dovere di dirlo chiaro e forte: a Torino è come se avessero condannato Regeni perché hanno condannato tutto quello che lui rappresenta, cioè la ricerca della verità, lo studio della complessità e la volontà di comprendere i fenomeni della società.

Noi ricercatori sociali questo non possiamo tollerarlo.

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