Carrieristi dell’#antimafia, ora basta

Due anni fa coniavo il termine “carrieristi dell’antimafia“, cioè quelli che usano l’antimafia come strumento di potere, per distinguerli dai “professionisti“, quelli che invece si occupano di mafia in maniera non dilettantesca, studiando, facendo ricerca e promuovendo un impegno continuativo tutti i giorni dell’anno.

La distinzione ebbe parecchia fortuna, dato che venne ripresa 11 giorni dopo niente meno che da un magistrato su Repubblica, che si è ben guardato dal citare la fonte. In due anni tanta acqua è passata sotto ai ponti, ma loro, i carrieristi, sono rimasti. Anzi, si sono moltiplicati e oramai inquinano il movimento antimafia come un tumore in metastasi di cui le mafie sono felicissime. Nando dalla Chiesa parlò alla fine dello stesso anno di “circo dell’antimafia“: lo misero in croce, ma aveva ragione.

Aveva ragione perché c’è qualcosa di grottesco nel modo in cui persone che non sanno fare nulla nella vita si improvvisano a paladini dell’antimafia da salotto e affollano quotidianamente talk show, iniziative, programmi televisivi e radiofonici, ingrossando il portafoglio con generose elargizioni da parte di Comuni e istituzioni, tanto desiderose di assolvere la propria coscienza finanziando associazioni ed esponenti tanto di tendenza quanto inutili nella lotta alla mafia.

Il carrierista è un animale furbo, è il portato della modernità liquida di cui parla Zygmunt Bauman:

  • come un’anguilla striscia agevolmente da uno schieramento politico all’altro a seconda della convenienza, esattamente come fa il mafioso, anche lui oramai molto “laico” politicamente dopo la Caduta del Muro di Berlino;
  • è molto abile poi a sfruttare il lavoro altrui, a prendersene i meriti e poi utilizza i suoi contatti giornalistici per ricevere la pubblica ammirazione, salvo poi urlare al complotto quando viene scoperto (perché non ha nemmeno la fantasia di evitare il copia-incolla), ma non si scompone, insulta chi dimostra il plagio e continua come se nulla fosse;
  • generalmente sa di mafia quanto Mangano ne sapeva di cavalli, ha dato giusto una sfogliatina ai libri mainstream, si focalizza su un argomento, meglio se scabroso ed evocativo di complotti che piacciono tanto al popolo della rete, ne parla in continuazione, a prescindere dai contesti, in modo da guadagnarsi l’etichetta di “esperto” e fare il pieno di consulenze negli enti pubblici;
  • si infila con l’inganno in associazioni antimafia già rodate, cerca di emergere a livello locale e se non ci riesce fa “turismo antimafia“, spostandosi laddove può meglio sfruttare le proprie credenziali, magari contando su raccomandazioni ingenue di veterani che l’hanno visto mezza volta e l’hanno trovato proprio un bravo ragazzo (ultimamente Milano è diventata una meta molto affollata, per via del fatto di essere la nuova Capitale dell’Antimafia istituzionale, Accademica e Sociale);
  • una volta che è riuscito nell’intento di consacrarsi a sommo profeta dell’argomento, utilizza la sua etichetta di “antimafioso doc” per scalare un partito politico e farsi candidare a una poltrona, che quasi sempre riesce ad ottenere, proprio grazie al fatto che oramai è ben inserito nei salotti buoni e la gente fa a gara a intervistarlo e a volerlo a convegni, iniziative etc.

Voi direte, “e quindi? Se una volta che è dentro combatte la mafia, ben venga“. Eh, magari, amici lettori, magari. Perché il carrierista punta, esattamente come il mafioso, solamente al Potere: non è minimamente interessato alla Causa, e tra la sua poltrona e la Causa non c’è dubbio su chi finisca giù dalla torre. Una volta che è dentro si limita al minimo sindacale, non darà fastidio a nessuno. Esattamente come prima non era rilevante da “attivista antimafia”, non lo sarà nemmeno come “politico antimafia”, anzitutto perché una cultura politica, così come una cultura antimafia, non ce l’ha.

Sociologicamente parlando, il carrierista è un cretino (cfr Dalla Chiesa). Brevemente, la definizione si basa su un celebre dialogo riportato da Falcone in “Cose di Cosa Nostra”:

«Uno dei miei colleghi romani nel 1980 va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: “Signor Coppola, che cosa è la mafia?”. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…»

La forza della mafia sta fuori dalla mafia (cit. ibidem), altrimenti sarebbe stata debellata come il terrorismo, e la sua forza sta proprio nella disponibilità di cretini, che non sono degli stupidi, semplicemente non ci arrivano, sono “inadatti a vivere nella società” (per riprendere l’etimologia greca del termine) e finiscono per lavorare meglio di qualsiasi altro per l’organizzazione mafiosa, che non avrà bisogno né di intimidirli, né di corromperli, né di controllarli a distanza, perché faranno tutto meravigliosamente da soli. Notare bene che un cretino può non essere un carrierista, mentre il carrierista è sicuramente un cretino.

Giuseppe Prezzolini, quasi un secolo fa (correva l’anno 1921) scriveva nel suo “Codice della Vita Italiana“: “L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono.” Ecco, l’antimafia la mandano avanti i professionisti, ma chi fa la bella figura sono i carrieristi. La differenza è questa.

Si è molto parlato di “antimafia di facciata“, termine coniato da Manfredi Borsellino, il quale giustamente con un certo tipo di antimafia non vuole avere a che fare, visto che si presenta con la lacrimuccia a ricordare suo padre solamente al 19 luglio, mentre ha rapporti fin troppo amichevoli, con la scusa della neutralità della lotta alla mafia, con esponenti politici e pezzi di Stato le cui responsabilità nel depistaggio delle indagini della Strage di Via d’Amelio sono ancora tutte da chiarire (almeno a livello processuale). Non entro poi nel merito della famosa intercettazione Crocetta-Tutino, dato che notizie certe, ad oggi, non ce ne sono.

Mi preme solo far notare che questo clima di veleni, di accuse, questo uso dell’antimafia come strumento di potere, è il peggior insulto che si possa fare a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a tutti quelli che sono morti per la libertà di questo paese. I carrieristi sono peggio dei mafiosi perché uccidono sul nascere la speranza e la passione di tanti e tanti giovani, i quali, disgustati da tutto questo teatrino, finiscono per tornare nell’indifferenza. Si può dare loro torto? No. Eppure così facendo finiscono anche loro per sputare sulla tomba di chi è morto. Ed è forse ancora più grave, perché non lo fanno per Potere o per ambizione personale, ma lo fanno perché si sono arresi allo status quo e all’idea che non è possibile cambiare e sarà sempre così.

Il mio appello va quindi a tutti quei miei coetanei e a quelli ancora più giovani che, delusi da un movimento antimafia che fa acqua da tutte le parti, hanno deciso che non ne vale più la pena: tornate a lottare, perché noi abbiamo bisogno di voi, del vostro entusiasmo, della vostra intelligenza, del vostro coraggio. Lo dobbiamo a tutti quelli che sono morti per un mondo senza mafie, senza corruzione, senza ingiustizie. Il modo migliore per ricordarli non è andare alle commemorazioni, ma portare avanti quotidianamente la loro lotta.

Tornate a sognare: perché come diceva Giovanni Falcone, si può sempre fare qualcosa. E voi potete ancora fare tanto.