Martedì 7 ottobre la Procura di Palermo, in una memoria depositata alla Corte d’Assise, ha dato parere favorevole alla partecipazione dei boss Totò Riina e Leoluca Bagarella e dell’ex ministro Nicola Mancino alla deposizione, al Quirinale, del Capo dello Stato al processo sulla trattativa Stato-Mafia.
Dal Partito Democratico sono partiti lancia in resta contro i magistrati, denunciandone una “grave caduta di stile“. Il capogruppo al senato, Luigi Zanda, ha dichiarato: “Ho sempre rispettato le decisioni della magistratura e rispetto quindi anche il parere della Procura di Palermo sulla partecipazione di Riina e Bagarella alla deposizione del Capo dello Stato al processo sulla trattativa Stato-mafia. Debbo però sottolineare che non comprendo il significato, né processuale né istituzionale, della decisione della Procura”.
Ma le vere perle di saggezza sono state dispensate dai deputati Federico Gelli ed Ernesto Magorno, quest’ultimo pure componente della commissione Antimafia: “La decisione della Procura di Palermo di esprimere parere favorevole alla presenza dei boss mafiosi per l’udienza del Capo dello Stato appare quantomeno una grave caduta di stile. Permettere a degli assassini conclamati, boss stragisti che si sono macchiati dei peggiori delitti contro lo Stato, di trovarsi di fronte al vertice della Repubblica, il garante della Costituzione e dell’ordine democratico, appare una scelta poco condivisibile. Senza entrare ovviamente nelle questioni processuali, dalla Procura probabilmente ci si sarebbe attesa una maggiore sensibilità istituzionale”.
Anzitutto, ieri la Corte d’Appello ha respinto la richiesta degli imputati: l’immunità della sede e la tutela di un bene costituzionale sono ragioni giustificative per derogare al codice di procedura penale.
Inoltre, il parere favorevole della Procura è stato mosso da prudenza giuridica: ai fini processuali, infatti, una mancata partecipazione degli imputati che ne abbiano fatto richiesta all’audizione di Giorgio Napolitano avrebbe potuto portare alla nullità dell’intero processo. Difatti, nell’accogliere la citazione del Capo dello Stato come testimone, il presidente della Corte Alfredo Montalto ha fatto riferimento all’art.502 del codice di procedura penale, non essendoci una normativa ad hoc. Stando a questo articolo, l’udienza deve svolgersi alla presenza dell’accusa (i pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene) e della difesa (gli avvocati degli imputati), mentre non è prevista la presenza degli imputati, delle parti private e del pubblico. L’art.502, però, prevede al II comma che “il giudice, quando ne è fatta richiesta, ammette l’intervento personale dell’imputato interessato all’esame.” Dunque negare la possibilità all’imputato di assistere all’udienza darebbe la possibilità agli avvocati difensori di chiedere l’annullamento del processo.
Lo stesso Montalto, ieri, ha negato la partecipazione degli imputati, in ragione anche del fatto che “l’immunità della sede ad esempio esclude l’accesso delle forze dell’ordine con la conseguenza che non sarebbe possibile né ordinare l’accompagnamento con la scorta degli imputati detenuti, né più in generale assicurare l’ordine dell’udienza come avviene nelle aule di giustizia preposte.” Bastava quindi aspettare il parere della Corte, anziché attaccare platealmente (di nuovo) la Procura di Palermo.
Ma ai fini istituzionali, ragioniamo un attimo sui soggetti che “si sono macchiati dei peggiori delitti contro lo Stato” che si sarebbero trovati alla presenza del Capo dello Stato: per caso Lor Signori del PD si sono dimenticati che stanno modificando la Costituzione con Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva per delitti contro lo Stato, tanto da guadagnarsi l’interdizione dai pubblici uffici? Quello stesso Silvio Berlusconi che fu individuato come garante del nuovo patto Stato-Mafia dopo le Stragi, stando alla sentenza Dell’Utri e alle dichiarazioni dei pentiti che sono alla base del processo sulla Trattativa? Quante volte Silvio Berlusconi, da condannato, è stato ricevuto dal Capo dello Stato, in qualità di capo di un partito di opposizione (nemmeno il principale, perché quello è il M5S)?
Soprattutto: la grave caduta di stile è imputabile ai magistrati che seguono le norme del codice di procedura penale oppure al Capo dello Stato che stava al telefono con un imputato del Processo (Nicola Mancino)? Se Napolitano non avesse risposto al telefono, ora non sarebbe stato individuato come utile testimone al processo. Soprattutto, se il PD avesse votato Prodi o Rodotà l’anno scorso per il Quirinale, ora Napolitano sarebbe un semplice senatore a vita.
Nel frattempo, mentre si discute di “stile”, in Parlamento vengono annacquate le leggi sull’autoriciclaggio, sul conflitto di interessi e sull’anticorruzione. E poi la caduta di stile sarebbe quella dei magistrati. Come direbbe Totò, “Ma mi faccia il piacere, mi faccia“.