Dopo il #Capitalismo non c’è l’#Apocalisse

“Berlinguer comunista? Lui era per un comunismo diverso, quello giusto… che non è comunismo” mi ha detto qualche tempo fa un amico, probabilmente tendendo ad identificare gli ideali marxisti con il socialismo reale. Da questa prospettiva, potremmo anche mandare a farsi benedire ogni proposito di fornire un’alternativa al capitalismo: il blocco sovietico è finito, i suoi rimasugli non sono esempi di rispetto dei diritti umani (dunque li scarto a prescindere) e non venitemi a dire che la Cina è comunista. Ma è possibile mandare in soffitta centocinquant’anni di storia del movimento operaio dicendo che non è più il tempo delle ideologie? Anzi, proprio la fine dello scontro frontale Usa-Urss può favorire un dibattito più aperto sull’eredità di Marx ai giorni nostri. Partendo innanzitutto da Il Capitale: perché l’economia è cambiata tantissimo, ma la base dei rapporti di produzione è sempre quella. L’obiettivo dell’imprenditore è il profitto, ottenuto principalmente grazie allo sfruttamento del lavoro. Un dipendente potrà anche avere un salario alto, ma non guadagnerà tanto quanto ha prodotto.

Per carità, esistono gli imprenditori onesti, che rispettano i lavoratori e i loro diritti (per me il massimo esempio è Adriano Olivetti), ma non posso accettare che Renato Soru difenda l’intero settore a priori, infervorandosi quando D’Alema parla di “padroni”. Perché i padroni esistono e chi lo nega non ha mai tastato con mano le condizioni di molti dipendenti nel settore privato: ferie negate, straordinari non pagati, buste paga gonfiate rispetto alle retribuzioni reali e anche, come riporta un’inchiesta di Repubblica, fallimenti pilotati per addossare le liquidazioni degli impiegati sulle spalle della previdenza sociale.

Il rapporto imprenditore-dipendente è fondato, già nei termini stessi, sulla subordinazione. Se le cose stanno così, fatemi capire perché a fare il bello e il cattivo tempo debba essere esclusivamente la coscienza del datore di lavoro. Viviamo in una situazione paradossale in cui vige l’uguaglianza politica ma non quella sociale, un po’ come la doppia vita da citoyen e bourgeois di cui parlava il filosofo di Treviri. Per questo motivo l’esigenza di fare un mondo nuovo, in cui non esista la povertà e ognuno sia libero di godere di ciò che produce, è attualissima. Resta però da chiarire come agire. Mi vien da ridere di fronte a quegli ortodossi che parlano ancora di dittatura del proletariato e pianificazione, come se fossimo in pieno Biennio Rosso. A questo punto è giusto richiamare la portata rivoluzionaria del pensiero di Berlinguer: che senso ha sostituire l’alienazione del liberismo con un regime totalizzante, che finisce per diventare la negazione di se stesso?

Vorrei una società in cui l’iniziativa individuale sia tutelata, ma organizzando le aziende secondo forme cooperative, con un sistema di welfare efficiente e investimenti sull’istruzione e sulla ricerca, una tassazione fortemente progressiva su redditi, patrimoni e beni di lusso, una burocrazia semplice e trasparente che si occupi soprattutto di controllare che le regole siano rispettate. Praticamente una terza via tra l’egoismo capitalista e lo spersonalizzante conformismo degli Stati socialisti: uomini e donne che condividano idee e forze creative nel pieno rispetto delle libertà personali, una meritocrazia dal volto umano che premi le eccellenze ma non lasci indietro nessuno, perché il diritto a vivere con dignità è importante come l’aria. Per far sì che tutto ciò non rimanga un’idea c’è solo un modo, più giusto e forse per questo più difficile: un riformismo radicale, aperto alla collaborazione con tutte le parti sociali e politiche, ma deciso a realizzare i suoi punti fondamentali. La labour democracy può realizzarsi, ma a patto di rispolverare quella massima di Rousseau secondo cui

“La Democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi.”

E chissà se, prima ancora di sapere se c’è vita su Marte, scopriremo che il post-capitalismo non è l’apocalisse.

1 commento su “Dopo il #Capitalismo non c’è l’#Apocalisse”

  1. penso che la sua idea sia più utopistica dello stato socialista stesso. Innanzitutto Berlinguer non menzionava affatto un “comunismo giusto”. Poi in un sito deliberatamente di sinistra come si fa a giudicare totalmente errate le teorie del filosofo più influente di tutti i tempi? Un’altra critica: esistono i padroni?? Ma state scherzando? Se io (lavoratore) non percepisco ferie e tutto il resto faccio succedere una guerra apocalittica! E non mi venite a dire che al mondo siamo tutti stupidi perchè non ci credo!! parli dell’esigenza di fare un mondo nuovo? faccio sempre l’esempio sulla mia pelle: io posseggo un milione di euro. Dovrei donarlo interamente i beneficenza pur sapendo che con il mio misero milioncino non cambia niente nel mondo? C’è una soluzione: TUTTI i ricchi devono donare tutti loro averi: ora si che ci siamo: Un attimo….chi costringerà i potenti a denudare se stessi?? è un fatto psicologico non stiamo qui a prenderci in giro!

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