#Berlinguer non è stato ucciso

di Pierpaolo Farina

Mentre scrivevo la parte di “Casa per Casa, Strada per Strada” sulle ultime ore di Enrico Berlinguer, ho accennato, riprendendo Francesco Barbagallo, alla provvidenzialità con cui la sua morte è capitata tra i piedi dei suoi avversari, interni ed esterni al PCI.

Negli ultimi giorni su questa provvidenzialità i giornali ci hanno ricamato parecchio sopra, riprendendo la ricostruzione del sociologo Rocco Turi contenuta nel suo libro “Storia Segreta del PCI“, secondo la quale i ritardi nei soccorsi sarebbero la prova dell’omicidio politico di Berlinguer. Si accenna anche al ruolo di Veltroni nel cercare di requisire dal mercato le immagini dell’ultimo comizio.

Sulla provvidenzialità della morte di Berlinguer avevo già scritto due anni fa in un celebre articolo. E anche a me il racconto di quelle ultime ore non convince. O meglio, non mi convincerebbe se non sapessi i retroscena raccontatimi da Alberto Menichelli, capo-scorta di Berlinguer e suo autista per 15 anni. Perché è vero che Enrico si è sentito male su quel palco subito dopo aver bevuto da quel bicchiere d’acqua ed è anche vero che, essendo ipoteso, era pressoché impossibile che gli venisse un ictus, ma è anche vero che Turi, quando avanza i suoi dubbi, non ha indagato le fonti adeguatamente.

Quando finì lo straziante comizio, le cui immagini tutti abbiamo visto, Berlinguer viene subito portato giù dal palco e messo in macchina. Voi direte: bisognava portarlo in ospedale. Certo, era quello che avrebbero voluto fare, ma Berlinguer, stando al racconto di Menichelli, disse che non era niente, che probabilmente non aveva digerito dalla sera prima e si era sentito male per quello. Per questo lo portarono in albergo e lo fecero sdraiare: fu quando si addormentò di colpo una volta a letto che il medico che li aveva accompagnati si accorse che era andato in coma.

Fu subito portato in ospedale con l’ambulanza e lì operato d’urgenza, benché fosse vero che il tutto avvenne ben due ore e mezza dopo il malore. L’agonia durò 90 ore, Enrico si sarebbe spento l’11 giugno 1984, alle 12:45. Sfortunate coincidenze? Possibile. Di certo, non credo proprio che tra Alberto Menichelli e Antonio Tatò ci fosse la volontà di far fuori Berlinguer. Certo, la sua morte ha fatto comodo a molti, anche dentro al PCI, ma evocare il ruolo di Veltroni nel requisire le immagini del comizio come a voler insinuare il sospetto che chissà cosa c’era in quelle immagini di probante del presunto omicidio di Enrico ce ne vuole.

Veltroni in più di un’occasione ha spiegato che si diede da fare di notte nel cercare di evitare che quelle immagini venissero trasmesse in tutto il mondo molto semplicemente per una forma di rispetto verso Enrico e la sua famiglia: tant’è che le immagini di quel comizio sono ancora disponibili ovunque (l’integrale ce l’ha la Rai, basta chiederlo) e dopo furono inserite nel famoso documentario su di lui di Bertolucci uscito l’anno successivo su l’Unità.

Il fatto che tre leader del PCI (Togliatti, Longo, Berlinguer) siano stati fatti fuori politicamente da un ictus (Togliatti prima di pubblicare il Memoriale di Yalta, Longo prima di pronunciare il primo NO ufficiale del PCI a Mosca su Praga, Berlinguer prima della battaglia sulla scala mobile) è una coincidenza un po’ strana, ma penso che sulla morte di Enrico, a meno di prove un po’ più concrete del solito complottismo all’italiana, ci troviamo semplicemente di fronte alla tragedia di un popolo che come tutte le tragedie si consuma all’improvviso.

Certo, il dubbio rimane. Ma trasformarlo in prova concreta ce ne vuole.