La Sinistra In Esilio

 

Se la politica si spacca e rinuncia a metà di se stessa (inventare apriscatole) per riassumersi nell’altra metà (inventare scatole) la sinistra non ha più un terreno omologabile per le partite che sa giocare. Non ce l’ha più nessuno, ma la sinistra in particolare: perché proprio nel gesto di inventare il possibile affondava le sue radici storiche, e la sua spinta ideale. Così oggi la sinistra è una tribù in esilio che vaga alla ricerca della sua prossima patria. Non è morta o viva: è in esilio.
(Alessandro Baricco, “La scatola e l’apriscatole”, Micromega, 1, 1997)

Sono passati 21 anni dal Crollo del Muro di Berlino, dalla Caduta del comunismo internazionale e dalla fine della Guerra Fredda. Quel 9 novembre 1989 bastarono una domanda azzeccata e una risposta improvvisata per smantellare un sistema politico internazionale che si reggeva da più di quattro decadi sulla contrapposizione tra capitalismo americano e comunismo russo.

Fu tre giorni dopo quel fatidico giorno che iniziò il lungo travaglio del più grande partito comunista d’Occidente, quel PCI che si era distinto negli anni per una critica feroce al regime e al comunismo sovietico, tentando con Berlinguer di conciliare gli ideali storici su cui si basava l’ideologia comunista con una tradizione di democrazia e pluralismo inedite nelle teorizzazioni ideologiche precedenti. La cosiddetta Terza Via al Socialismo (archiviata con la morte del segretario più amato della storia del PCI) era la prova più concreta e autentica del fatto che il comunismo italiano e quello russo avevano veramente poco da spartire ai tempi della Caduta del Muro.

Ciononostante, nei mesi che seguirono il Crollo del Muro i nuovi dirigenti di Botteghe Oscure (i cosiddetti quarantenni che l’anno prima si erano stretti intorno al nuovo segretario, Achille Occhetto) spiegarono al popolo comunista che cambiare tutto, a partire dal nome, era l’unico modo per salvare la Sinistra e gli ideali che l’avevano animata per oltre due secoli. Girarono tutta l’Italia spiegando che quella del loro partito era una storia in decadenza e che bisognava cambiare, che bisognava andare “oltre l’orizzonte”.

Eppure, parafrasando la metafora di Baricco sulla scatola e l’apriscatole, possiamo dire che dal 1989 in poi gli eredi del più grande partito comunista d’Occidente non sono più stati in grado di creare apriscatole, tanto meno contenuti o eredità, ma semplicemente etichette, scatole vuote e un po’ di marketing per provare a venderle. Ad essere scomparsi, infatti, non sono stati solo i simboli, ma anche il loro senso.

Non è un caso, infatti, che, con un’abile gioco di prestigio politico-mediatico, prima siano spariti la falce e il martello ai piedi della Quercia e infine sia sparita anche la Quercia: entrambi non erano considerati più spendibili e piazzabili nell’umorale mercato della politica italiana (e questo anche per via del decadimento morale di una classe dirigente).

Ed è qui che sta uno dei paradossi della Sinistra italiana: mentre in tutta Europa i partiti conservano le loro identità e rinnovano i propri gruppi dirigenti (si veda lo strabiliante caso inglese, di un Labour che in pochi mesi è tornato al 40% nei sondaggi), in Italia un partito può cambiare per ben tre volte nome e simbolo, conservando de facto (esclusi i deceduti) lo stesso gruppo dirigente di vent’anni prima. I leader del centro-sinistra non risultano più credibili agli occhi della gente perché dal Crollo del Muro di Berlino in poi non sono riusciti a trovare, per usare una formula di Enrico Berlinguer, “vie nuove per i vecchi ideali”.

Ci avevano raccontato che la Svolta era il punto di partenza di un nuovo inizio, una sorta di rigenerazione per approdare ad una nuova identità che avrebbe ridato slancio ideale alla Sinistra. Oggi, a ventun anni di distanza, possiamo dire, a ragione, che non è stato così. Che è stato tutto un imbroglio. Non era infatti l’epifania del “Nuovo”, carico di sicuri trionfi e cambiamenti, ma semplicemente il funerale di quello che da una sera alla mattina era diventato “Vecchio”, che avrebbe portato solo ad una stagione di sconfitte e traumi collettivi.

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una gigantesca e dannosa rimozione culturale su quello che il comunismo italiano è stato e in buona parte continua ad essere per la Sinistra italiana.

Rinnegare i propri padri, nella speranza di trovare eredi, e inventare nuove identità per non dover fare i conti con quella che effettivamente avevano, ha portato i post-comunisti a produrre solo una cosa: una marea di orfani e figli unici, che con la disintegrazione della dimensione collettiva si sono rifugiati in un arido e desolato egoismo individualista. Anziché diventare padri di una nuova eredità, sono rimasti gli eterni giovani di quella vecchia.

Erano così preoccupati a dimostrare all’Italia intera che non erano più (e non erano mai stati in alcuni casi) comunisti, che non si sono minimamente preoccupati non solo di definire una volta per tutte cosa sono (e cosa vogliono diventare), ma soprattutto cosa pensano e vogliono fare per dare una voce alle speranze di chi ha sempre votato a Sinistra: in poche parole, a chi vuole un Paese Diverso.

Trovare, dunque, vie nuove per i vecchi ideali dovrebbe essere la nostra primaria missione.  Perché come diceva Norberto Bobbio: “il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi: ecco la differenza.”

Per evitare, soprattutto, l’affermarsi di nuovi populismi e pressapochismi, che già si inverano nei moderni “costruttori di soffitte” (per dirla alla Gramsci) che invocano rottamazioni basate sull’anagrafe, e non su veri progetti ideali di rinnovamento. Del resto, il rapporto che hanno costoro con i grandi vecchi (penso a Berlinguer, Pertini, Sylos Labini, Biagi e tutti gli altri) è lo stesso rapporto che c’è tra il signore e il cameriere: per questo cercano e hanno cercato di fare il deserto, in modo da poter emergere meglio e affinché il confronto non sia troppo impietoso.

E ne deriva che tutto quello che è passato è un male da cancellare: eppure per poter tornare dall’esilio, occorre innanzitutto recuperare e difendere la memoria di quello che siamo stati e di quello che abbiamo rappresentato. Serve cioè un partito della sinistra aperto e moderno, capace al tempo stesso di tenere con sé, traducendole all’oggi, le pagine migliori della nostra storia.

Perché bisogna sempre ricordare che un partito, senza memoria, non esiste. Perché un partito può avere dentro di sé molte memorie, può avere molte radici, ma non può esistere partito che non abbia alcuna memoria e che non abbia alcuna radice.

Perché come diceva Enrico Berlinguer, “Quali furono infatti gli obiettivi per cui è sorto il movimento per il socialismo? L’obiettivo del superamento di ogni forma di sfruttamento e di oppressione dell’uomo sull’uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull’altra, del sesso maschile su quello femminile, di una nazione su altre nazioni. E poi: la pace fra i popoli, il progressivo avvicinamento fra governanti e governati, la fine di ogni discriminazione nell’accesso al sapere e alla cultura. Ebbene, se guardiamo alla realtà del mondo d’oggi chi potrebbe dire che questi obiettivi non sono più validi? Tante incrostazioni ideologiche (anche proprie del marxismo) noi le abbiamo superate. Ma i motivi, le ragioni profonde della nostra esistenza quelle no, quelle ci sono sempre e ci inducono ad una sempre più incisiva azione in Italia e nel mondo.”

 Ma se a tutto ciò si evita di dare continuità e sostanza; se la militanza diventa un mero sfogo di ambizioni personali e il tesseramento una vecchia bardatura del potere democristiano; se la passione viene continuamente uccisa da dosi letali di realpolitik, ma soprattutto, se dei legami e dei simboli, oltreché della memoria, ci si ricorda solo al momento di chiedere il voto e le sezioni diventano luoghi di apparato; se le primarie vengono considerate una fastidiosa perdita di tempo e la scelta dei candidati alle elezioni si trasforma in una guerra tra satrapi e capibastone; se l’ideale diventa obsoleto e la coerenza morale si trasforma in dialogo basato sul nulla e con nessuno; se insomma, non esiste più una leadership e un partito che si occupino dei problemi della società, senza dimenticare da dove vengono e ben spiegando dove vogliono andare, CHI può biasimare quello storico elettore di sinistra che sceglie di non andare a votare, nauseato da ciò che lo circonda, oppure prende in considerazione di votare Di Pietro o addirittura la Destra?

Le parole d’ordine del passato non funzionano più perché sono state tradite da chi aveva avuto mandato dal popolo di custodirle e tradurle in azioni politiche ben precise.

Per dirla alla Saramago, “ogni volta che la Sinistra vince e va al governo, prepara la sua sconfitta, perché si appiattisce sui programmi della destra”. E la nostra Sinistra, più di tutte le altre, lo ha fatto con la sporca pratica dell’inciucio.

Per quanto mi riguarda, la Sinistra non è più un partito da un pezzo: è una scuola di vita e una morale che ci hanno tramandato i Grandi Vecchi come Gramsci, Berlinguer, Pertini, Valiani, Foa, Biagi, Bobbio, Sylos Labini, ma anche uomini di quella destra di liberale che hanno lottato contro la deriva populista che ci sovrasta. Purtroppo i Grandi Vecchi sono morti, e anche noi non ci sentiamo più tanto bene. Del resto, a furia di ammazzare giganti, siamo rimasti solo con i nani che gli stavano sulle spalle.

Come disse Norberto Bobbio all’indomani della caduta del muro: “O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?

4 commenti su “La Sinistra In Esilio”

  1. Condivido in larga parte il contenuto del tuo articolo, ma in modo particolare mi sento particolarmente vicino al punto in cui giustamente ricordi che sono cambiati i nomi dei partiti ma la classe dirigente è rimasta quella di venti anni fa. Ovvio che questo debba farci riflettere e iniziare a pensare che si debba invertire l’ordine dei fattori. Non basta un nuovo simbolo, un nuovo nome, una nuova etichetta che rappresenti la sinistra, servono persone in grado di portare avanti ideali talvolta antichi ma alla luce della modernità.

  2. Ragazzi quello che si chiama P.D. tutto è meno che di sinistra. Infatti sbagliano quei compagni che chiedono a gran voce che il P.D. parli con la voce della sinistra.Ormai è un ibrido, anzi lo è da molto tempo anche se ai vertici ci sono sempre “quelli”. Ora con l’aggiunta di qualche ex democristiano si chiamano progressisti,e per Veltroni ci manca Obama per completare il quadro.Sono curioso di sentire Fini e Bersani,lunedì a “Vieni via con me” come definiranno destra e sinistra, praticamente saranno in un unico “calderone”.

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