Ma la parità di genere è incostituzionale (senza preferenze)

E’ abbastanza surreale questo dibattito sulla parità di genere, ovvero del 50% delle donne in lista e l’alternanza uomo-donna nella lista bloccata. E non perché ritenga che l’idea di aumentare la presenza femminile e l’apporto delle donne alla vita pubblica sia sbagliata, ma perché sul tema si è già esaurientemente espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n.422 del 12 settembre 1995, nella quale, tra le altre cose, si dichiarava illegittimo l’art. 4, secondo comma, n. 2, ultimo periodo, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, come modificato dall’art. 1, della legge 4 agosto 1993, n. 277, (Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati).

Cosa prevedeva l’art.1 della 277/1993? Che le liste bloccate della quota proporzionale del Mattarellum fossero composte “da candidate e candidati in ordine alternato“. Norma considerata incostituzionale, perché tra le azioni positive intese a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“, possono esserci quelle per promuovere una parità di opportunità tra i sessi, ma misure diseguali di questo tipo non possono incidere direttamente sui diritti fondamentali, garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali e non come uomo o donna.

In parole povere, in una lista bloccata non si può imporre l’elezione di un cittadino, per il solo motivo d’essere donna, a una carica pubblica, sfruttando la collocazione in lista, perché, come ha scritto la Corte Costituzionale, “la regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell’art. 51, è quella dell’assoluta parità, sicché ogni differenziazione in ragione del sesso non può che risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si ritiene svantaggiato.

Insomma, introdurre anche la parità di genere nell’Italicum senza preferenze, sarebbe l’ennesimo profilo di incostituzionalità della legge (che ne ha già parecchi). Se al Senato le senatrici vogliono portare a casa il risultato, devono votare anche le preferenze, altrimenti la norma, fra qualche mese, sarà cancellata dalla Corte per violazione dell’art.51 della Costituzione (paradossalmente lo stesso invocato dalle prime firmatarie per l’approvazione).

 

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