Promemoria per la #Boschi sulla Questione Morale

Maria Elena Boschi, rampante amazzone del renzismo, ieri ha risposto a un’interrogazione del Movimento 5 Stelle a proposito dei 5 indagati promossi sottosegretari dal pupo fiorentino, di recente premier per congiura di palazzo: “Non è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari solo sulla base di un avviso di garanzia, ma per opportunità politica.“, giustificando la scelta dicendo che loro rispettano la Costituzione, precisamente nella parte in cui afferma che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.” (art.27, II comma)

Che a questo governo della Questione Morale non fregasse una beneamata mazza s’era capito, ma che si arrivasse addirittura a usare la Costituzione per giustificare la continuità ideologica con un certo modo di fare politica (decisamente vecchio e francamente per nulla moderno) è davvero il colmo. Considerato che all’art.54, II comma, sta anche scritto: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”, segnalo alla Boschi le seguenti parole:

«E anche quando non ci fosse stata o non ci fosse una responsabilità del tutto accertata, penso che avesse del tutto ragione il presidente della Repubblica quando ha detto “qui siamo chiaramente in presenza di un’associazione a delinquere”. Un politico che ne fa parte, o è sospettato di farne parte, non può pensare di essere assolto per insufficienza di prove. Certo, può essere assolto, cioè non condannato da un tribunale, ma deve avere almeno il gusto, lo stile di ritirarsi dalla politica e di scegliere un altro mestiere.»

Quando queste parole furono pronunciate in diretta tv di fronte a milioni di italiani correva l’anno 1981. Una vita fa. La trasmissione era Tribuna Politica, la puntata quella del 15 dicembre. Chi parlava, in un inconfondibile accento sardo, era un uomo di 59 anni, da quasi 10 alla guida del più grande partito comunista d’Occidente, che sotto la sua guida aveva raggiunto il massimo storico alle elezioni politiche del 20 giugno 1976. Quell’uomo era Enrico Berlinguer.

E quand’anche non fosse ancora chiaro che sulla Questione Morale si gioca la qualità di una democrazia, perché nemmeno il più piccolo sospetto può ricadere sull’uomo pubblico, che per il solo fatto di legiferare e governare deve dare l’esempio a tutti i cittadini, le segnalo anche le parole di Sandro Pertini, pronunciate nel messaggio di fine anno del ’79:  «Vi è un proverbio che si usa dire: che la moglie di Cesare non deve essere sospettata. Ma prima di tutto è Cesare che non deve essere sospettato. […] E ripeto quello che ho detto altre volte: qui le solidarietà personali, le solidarietà di partito, diventano complicità.»

Ecco, qui sta il punto, caro ministro: con la nomina degli indagati a sottosegretari, il suo presidente del Consiglio che lei è andata a difendere in aula sarà responsabile politicamente di qualsiasi condanna che lederà il prestigio e l’immagine di istituzioni massacrate da 20 anni di berlusconismo e di malaffare. E’ bene che lo sappiate, prima che poi vi chiediate affranti perché, nonostante il nuovo che avanza, le urne continuino a restar vuote e gli elettori a casa.

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