Letizia Battaglia, la fotografia come strumento di lotta

Ieri, poco dopo le 23:00, è arrivata la notizia: Letizia Battaglia è morta. Ero tranquillo sul divano, è stato come se ci fosse stato un terremoto. “Ma come morta?“, è sempre la prima cosa che ti chiedi in casi come questo. Quando certi “miti viventi” li consideri immortali, come Raffaella Carrà, uno non ci crede mai veramente. 

Poi le varie agenzie di stampa ti riportano alla realtà. Anche se lei, a 87 anni, con quella sigaretta perennemente in bocca, sembrava eterna

Letizia Battaglia, una combattente

A caldo, ho postato sui miei profili alcune foto che ho avuto la fortuna di scattarle il 21 giugno 2019, quando venne a Milano. Ricordando quanto mi aveva detto nell’intervista video che le feci due anni fa, nel 28° anniversario della Strage di Capaci. Ci eravamo ripromessi di rivederci a Palermo, o meglio, a Mondello. Cosa che quest’anno avrei voluto fare.

Non mi è piaciuto però come la stragrande maggioranza del mainstream l’ha definita, nell’annunciarne la morte: la “testimone” della lotta alla mafia per 30 anni. No, non era una testimone. O meglio, non si è solo testimoni perché si porta al collo una macchina fotografica e si scattano foto che resteranno per sempre nella storia.

Letizia Battaglia ha usato la macchina fotografica come strumento di lotta: contro la mafia, contro la mentalità mafiosa, contro il patriarcato che contraddistingue entrambe. E anche contro il capitalismo, che ne è complice e alleato. Non era solo “una testimone”, nel senso che le hanno attribuito tutti: la donna che documentava con la macchina fotografica. No, Letizia Battaglia era dentro le storie che fotografava, le ha vissute in prima persona. Era in prima fila contro le ingiustizie, era una combattente. Era una che ha donato finanche il suo corpo alla sua volontà di essere libera: di esprimersi, di vivere, di definirsi.

E infatti confessò, e lo disse anche a me, che neppure dopo aver vinto tanti premi internazionali si è mai sentita una fotografa. “Sono solo una donna che ha usato la fotografia per esprimersi“. E, benché da modesto fotografo quale sono non mi fosse passato nemmeno per l’anticamera del cervello, mi avvertì prima dell’intervista: “Per favore, non chiedermi scemenze del tipo “come si fanno belle foto”, perché non lo so“. 

Quella volta a Corleone

Oggi è facile essere contro la mafia. Soprattutto contro la mafia degli anni ’80. Ma voi definireste semplicemente “testimone” una donna che agli inizi degli anni ’80 allestì in piazza a Corleone una mostra intitolata “la mafia oggi” negli stessi anni in cui Totò Riina sta inondando di sangue le strade della Sicilia? E resta ore, da sola con i suoi compagni allestitori, in una piazza vuota dove nessuna osa avvicinarsi per paura di rappresaglie del nuovo Capo dei Capi? 

Gli stessi anni in cui si negava l’esistenza della mafia, bollata dal dopoguerra come “un’invenzione dei comunisti” contro la Democrazia Cristiana? No, è evidente come Letizia Battaglia non fosse solo una testimone. 

Letizia Battaglia
Letizia Battaglia, con Nando dalla Chiesa, il 21 giugno 2019. Foto di Pierpaolo Farina

Le fotografie di Letizia Battaglia

Non fui d’accordo con quello che mi disse. “Le fotografie non cambiano niente. Esattamente come i film, i romanzi“. Le obiettai che ci sono state nella storia fotografie che qualcosa hanno cambiato. “Sì, è vero. Ma le cose cambieranno quando torneremo a provare affetto l’uno per l’altro. Sì, affetto. E ci libereremo di politici cinici e schifosi“. Rivoluzionaria anche in questo: l’amore come forma di liberazione e di superamento delle ingiustizie dell’Occidente capitalista.

Non a caso, quando andò a New York nel 1986, invitata insieme ad altri 99 fotografi per immortalare la società americana, lei volle andare a fotografare i “senza casa“, come li chiamava lei. E riuscì a scattare fotografie rimaste anche quelle nella storia. Come quella di Lizie: “Una principessa, ma lei non lo sapeva. E la società l’aveva relegata ai margini, anche se era una principessa“. 

© Letizia Battaglia. Lizie.
© Letizia Battaglia | La piccola Lizie. New York, 1986.

Il cuore grande di Letizia Battaglia

Letizia Battaglia era una maestra della fotografia, anche se non si sentiva fotografa. E in questo stava la sua grandezza. Non si è mai sentita “arrivata“. Era sempre alla ricerca, non si è mai accontentata di essere quello che era. Perché la fotografia è anche questo: espressione ma anche metamorfosi di se stessi. E’ un viaggio continuo, che non finisce mai. Dura anche dopo la propria morte.

In quell’attimo reso immortale non c’è solo chi viene ritratto, c’è anche molto di chi sta fotografando. Perché “non si fotografa con gli occhi“, come disse un altro grande maestro della fotografia. E nemmeno con la macchina fotografica. Si fotografa col cuore. E Letizia Battaglia aveva un cuore grande, capace di amore nei confronti di tutti, soprattutto di chi non conosceva. Ed ecco perché le sue foto, straordinarie, resteranno nella storia. Ed ecco perché lei non era solo una testimone: ha vissuto il suo tempo, e lo ha combattuto. Letizia la combattente. Letizia la rivoluzionaria. Riposa in pace, Maestra.