#Francia, l’astensione #EnMarche!

Emmanuel Macron si appresta a trionfare anche alle elezioni legislative. Dopo aver vinto il confronto con gli altri candidati alle presidenziali, il leader di EnMarche! (rinominato La Republique En Marche! subito dopo l’elezione) si era detto fiducioso riguardo il raggiungimento della maggioranza all’Assemblea Nazionale. E questa speranza si è tramutata in realtà quando domenica scorsa il primo turno si è concluso in maniera francamente inaspettata: ai candidati di EM sono andati circa il 28,21% dei consensi, che tradotto col sistema maggioritario francese significa tra i 415 e i 455 seggi (il dato definitivo si saprà solamente coi ballottaggi di domenica prossima). Un successo pazzesco, direte voi.

In realtà, alla base di queste percentuali bulgare c’è un astensionismo di massa senza precedenti. Secondo quanto emesso dal Ministero degli Interni, i francesi che hanno votato sono stati poco più di 22 milioni, dunque meno del 50% degli aventi diritto (il 48,70, per l’esattezza). L’affluenza alle elezioni legislative non è mai stata così bassa dal 1958, ovvero dalla prima volta che furono convocate da quando esiste la Quinta Repubblica.

La ragione per cui Macron è così davanti rispetto agli altri non è soltanto l’astensione del popolo francese, bensì il sistema elettorale maggioritario. La suddivisione in collegi uninominali, simile a quella inglese (dove però non è previsto il doppio turno), favorisce infatti i candidati più quotati a scapito delle nuove o piccole liste.

Per esempio Jean-Luc Mélenchon e la sua France Insoumise, di cui abbiamo già parlato qui, hanno ricevuto l’11% dei voti, un risultato positivo, ma che non si può paragonare a quello delle presidenziali. Stessa sorte anche per il Front National, fermo al 13%. La situazione per quanto riguarda Mélenchon e Marine Le Pen è piuttosto complessa, perché allo stato attuale nessuno dei due avrà i voti necessari per formare un gruppo parlamentare ed entreranno in gioco le alleanze.

I Socialisti confermano invece il disastro delle presidenziali, passando dal controllo della metà dell’Assemblea Nazionale a meno di 40 seggi, mentre i Républicains di François Baroin, succeduto a Fillon alla guida del partito dopo la sconfitta alle presidenziali, con il loro 15,77% diventano in termini di seggi il gruppo più numeroso.

Quella che sembrava una certezza, oggi inizia a scricchiolare: è il politico post-ideologico quello che piace ai francesi oppure è proprio il rifiuto di etichette e ideali precisi a provocare questo disinteresse generale? Entrambe le risposte sembrano apparentemente corrette, tuttavia, visti i dati sull’affluenza, la seconda pare quella più esatta.

I francesi si sentono traditi ed hanno paura. Paura del terrorismo, paura di chi vuole isolare il paese ed estirpare le diversità, ma anche di chi ha governato e non ha dimostrato di essere all’altezza di una nazione immensa. Per questo motivo si sono allontanati dalla politica tradizionale, e in un clima poco limpido ne ha approfittato colui che millanta progresso, ottimismo e trasparenza, anche se puntuali come un orologio svizzero stanno venendo fuori i primi scandali.

In Francia si profila una fase di stallo destinata a perdurare diversi mesi. È ancora prematuro trarre delle conclusioni, ma quanto inciderà la decisione da parte della metà del popolo francese di non aver votato i deputati dell’Assemblea Nazionale lo sapremo molto presto.

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