Il sogno matto di noi giovani della #WeGeneration

O illusi, credete davvero che la fine del comunismo storico abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?

(Norberto Bobbio)

 

Era il 16 febbraio 2009 quando nacque enricoberlinguer.it, quasi per caso. Da allora ne abbiamo fatta di strada. Questo blog nasceva il 12 novembre 2010, a 21 anni dalla Svolta della Bolognina, con il sottotitolo “Giovani nati dopo la Caduta del Muro di Berlino alla disperata ricerca di Sinistra”. Lo abbiamo concepito come un luogo dove poter dire la nostra e intervenire nel dibattito politico con le nostre idee, continuando parallelamente il nostro impegno civico su più fronti.

Ora abbiamo deciso di aprirci anche con chi non ha condiviso un pezzo della nostra storia, ma come noi pensa che non si possa più stare a guardare, che è giunto il momento di impegnarsi in prima persona.

Siamo sempre stati convinti, e oggi lo siamo più che mai, che prima ancora di un partito serva oggi una cultura della Sinistra aperta e moderna, che si liberi di quella forma mentis dello “spirito di Budapest” (che porta a credere fideisticamente nella figura del capo) e ricostruisca l’alfabeto ideale con cui rispondere a quel bisogno di sete e di giustizia che è maggioritario oggi tra i cittadini e non ha adeguata rappresentanza.

Poi qualche giorno fa quella lettera di Michele, che vale più di un manifesto politico: “Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento e privo ormai anche di prospettive”. In parole povere, quel mondo descritto così chiaramente da Zygmunt Bauman quando teorizzava la “modernità liquida”, dove ogni elemento della società è in perenne trasformazione, instabile, precario; dove le relazioni sociali perdono consistenza e valore, ogni legame è costruito o sciolto a seconda della necessità o della convenienza e, ancora più importante, viene a cadere quel binomio inscindibile tempo/spazio, pilastro della “solidità” che caratterizzava la società precedente. Un mondo dove gli individui esistono in quanto consumatori di oggetti, servizi, saperi e relazioni umane.

Dopo quella lettera, i media ci hanno subito ribattezzato “la generazione di Michele”. Negli USA siamo i Millennials, quei giovani nati tra il 1980 e la metà degli anni ’90, mentre nel Regno Unito e in Australia passiamo per “Generazione Y”. Forse quelli che ci sono andati più vicino sono i giapponesi, che ci definiscono “nagara-zoku”, cioè i multitasking.

Se permettete, vogliamo decidere noi come chiamarci. Molti di noi provano la stessa frustrazione di Michele e siamo anche noi convinti che non sia questo il mondo che doveva esserci consegnato, ma proprio per questo abbiamo deciso che vogliamo cambiarlo. Come? Cominciando a fare la cosa più semplice che potessimo fare: incontrarci e discutere, mettendo al servizio di ciascuno di noi le nostre competenze, i nostri studi, le nostre passioni.

Siamo la We Generation, la generazione di quel NOI collettivo che si contrappone a quell’IO individualista e feroce che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni ed è responsabile del deserto politico e culturale in cui stiamo vivendo.

Noi crediamo in un altro mondo. Un mondo dove la comprensione, la comunione, il dialogo valgano molto di più di vincoli, limiti o barriere. Sappiamo cosa state pensando, che con le parole son tutti bravi, che in realtà è tutto molto più complicato. Eppure è proprio da qui che bisogna partire. E, badate bene, non abbiamo usato il termine ‘ripartire’. Perché da tempo non esiste più un cammino da riprendere. È tempo di iniziarne uno nuovo.

“Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro il vostro orgoglio, perché con questa spada vi uccido quando voglio”.

Così parlava il Cirano di Guccini. È ora di usare la penna. È ora di usare le parole. È ora di lottare, ancora e più forte. È l’ora che le idee, la cultura, ricomincino a circolare, per distruggere i pregiudizi e l’arrivismo di chi mette contro gli ultimi e i penultimi, mentre il suo portafoglio cresce per ogni vita umana che muore in mare o nella sua terra per un litro di petrolio.

Ma, soprattutto, non è più tempo di stare fermi. È ora di andare per strada. È ora di discutere. In mezzo alla gente. Perché siamo convinti che le idee chiuse in una stanza diventano sterili, troppo compiaciute di sè per avere il coraggio di andare tra il popolo e confrontarsi con esso. E allora è tempo di andare di nuovo “casa per casa, strada per strada”.

È ora di ascoltare le storie, i racconti di vita. È ora di guardare le lacrime sui volti di chi ha perso un figlio in mare, le ferite sulle braccia di operai a cui vengono chiesti turni massacranti, le articolazioni bloccate di chi ha passato una vita in fabbrica e ora è costretto a manifestare su una gru. È ora di guardare i sorrisi. Quelli amari, di chi fa uno stage per 100 euro e di mamme costrette a lavorare 10/11 ore al giorno. Quelli forti di chi continua a non abbattersi, nonostante tutto.

È ora di mettere fine a questa lotta tra gli ultimi, a questa lotta conto il “diverso”. È ora di mettere in chiaro che se stiamo perdendo i nostri diritti non è colpa di chi sta peggio di noi, ma di chi vuole metterci contro questi ultimi, sfruttando la disperazione e la disillusione.

In una società che è sempre più ottocentesca nella distribuzione della ricchezza e delle diseguaglianze, dove vengono sistematicamente smantellate tutte le conquiste sociali degli ultimi cinquant’anni, chi può dire che non ci sia più spazio per quell’idea di Sinistra, fondata anzitutto sull’assunto che vogliamo una società che rispetti tutte le libertà, meno quella di sfruttare altri esseri umani, che garantisca i diritti di tutte le minoranze, superando ogni forma di sfruttamento e di oppressione e promuova la pace fra i popoli, la partecipazione di tutti i cittadini all’amministrazione della cosa pubblica, la fine di ogni discriminazione nell’accesso al sapere e alla cultura?

Diceva Gramsci: «Noi siamo diventati socialisti non perché ritenessimo il mangiare più importante dello studiare, ma perché non si può studiare se non si mangia o si mangia male». Cosa c’è di vecchio, arretrato, antico in questi obiettivi? Certo, c’è ancora chi è attaccato ad alcune incrostazioni ideologiche che hanno fatto il loro tempo, ma i motivi, le ragioni profonde dell’esistenza della Sinistra, quelle no, quelle ci sono sempre.

Non sarà facile, ma è ora di creare una coscienza comune. Una coscienza di classe, direbbero i più nostalgici. Per questo abbiamo deciso di creare un think tank, un luogo che aggreghi idee, proposte ma soprattutto persone. Aperto non solo ai “Millennials”, ma a tutti quelli che sono rimasti “orfani” e non si sentono più rappresentati e semplicemente vogliono tornare a discutere, a riflettere, confrontandosi con realtà ed esperienze anche diverse dalle loro.

We Generation sarà questo: un luogo dove maturare una crescita personale e collettiva anzitutto a livello culturale. Imparando anche a coltivare la “lentezza” che uno sforzo intellettuale del genere richiede. Per nostra fortuna, a differenza di altri, non abbiamo l’urgenza di candidarci a qualcosa.

“Proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto…”

Così parlava, invece, il Don Chisciotte di Guccini.

I mulini a vento sono avvisati: il sogno matto noi lo vogliamo realizzare.

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Ti interessa? Visito il sito www.wegen.it oppure scrivici su info@wegen.it chi sei, dove vivi e perché vuoi partecipare. Ti ricontatteremo il prima possibile.

17 commenti su “Il sogno matto di noi giovani della #WeGeneration”

  1. Io non sono più giovane, ho 55 anni, ma condivido in pieno il vostro sogno: appartiene anche a tanti “giovani dentro” che non hanno perso la speranza di vedere un mondo diverso

    • Perché abbiamo l’ambizione di non guardare solo al nostro orticello qui in Italia ;) L’Italiano, come avrai notato se leggi il blog, lo padroneggiamo a meraviglia: quel che ci interessa fare con questa cosa è mettere a fuoco dei temi per ricostruire l’alfabeto culturale di una Sinistra con la S maiuscola, non italiana, ma europea e internazionale :)

    • Ciao Michele, l’idea di We Generation non è candidarsi alle elezioni, come c’è scritto nell’articolo. È un think tank, un luogo dove far nascere idee e proposte per una nuova idea di mondo e di Sinistra. Non è un lavoro facile (da qui il “sogno matto”), ma vogliamo dare il nostro contributo. Vogliamo dire la nostra: altri si candideranno, noi intanto ragioniamo di contenuti. :)

    • io invece la trovo una efficace contrapposizione e gioco di parole con web generation. ed è proprio qui il bello. ritornare a parlare tra di noi, per le strade, nei circoli, casa per casa.

  2. Mi piace molto il “giochetto” di parole We generation con web genartion perchè è proprio dalla rivoluzione digitale di questo decennio che sono saltati fuori con drammaticità i problemi della nostra generazione. Viviamo in una società iper-individualista dove il web, whatsapp e altri social hanno accresciuto la solitudine dell’individuo. E’ un processo nato prima, e che ora è al suo massimo; oggi viene prima ed esclusivamente “l’io” , l’importante è il proprio esclusivo benessere. Non c’è coscienza democratica nelle nostre generazioni, non si sa più parlare con chi ha opinioni diverse. Si va allo scontro sempre e comunque.
    Dobbiamo ricreare un senso comune del vivere insieme, un senso civico che non c’è più, una coscienza ambientale che ci porti a non sporcare il nostro territorio con la semplice carta delle caramelle; il tutto partendo dalle proprie sacrosante libertà individuali. Non esiste libertà individuale senza giustizia sociale e senso comune della comunità. Questa è la rivoluzione socialista e democratica che dobbiamo attuare.

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