Io non sono come voi

Barricate. Manifestazioni. Picchetti. Notti intere a presidiare un luogo. Ma che succede? Abbiamo per caso utilizzato una macchina del tempo, e siamo ritornati negli anni Settanta? Oppure abbiamo immaginato il futuro, pensando ai fuochi di rivolta contro la criminalità organizzata, vero cancro nostrano per il momento ancora imbattuto? All’improvviso una luce rossa e un suono di allarme a ciclo continuo. Sul display della macchina del tempo la scritta: “Presente. Oggi, anno 2016”. Per un attimo avevi cercato di evadere da questo mondo, e invece questo oggetto misterioso ti riporta sulla terra. Dunque, ricapitoliamo: barricate e manifestazioni contro chi? Contro che cosa? “Aiuto, aiuto. Arriva l’uomo nero!”. “fate presto, dobbiamo sbarrare la strada, così non passano. Poi andiamo tutti davanti alla caserma dove li vogliono mettere e mettiamo tanti bancali anche lì. Così non riusciranno ad aprire il cancello”.

L’Italia, nel 2016. Non tutta, forse. Non tutta, spero. Ma quel che basta per produrre queste azioni devastanti, nel silenzio collettivo. Accade dappertutto. Anche nell’Emilia Romagna, regione colorata di rosso da quando si ha memoria. Goro e Gorino. Rosarno. Montichiari. Respinti uomini, donne, bambini. Respinte dal mondo per bene le persone provenienti dal mondo disgraziato. Il mondo europeo ha disegnato un nuovo identikit: media corporatura, sporco, negro (va bene anche non troppo scuro), disordinato, a volte scalzo. “Corrispondi? Se corrispondi non puoi restare qui. Perché noi sappiamo che tu sei un ladro, uno stupratore. E noi non possiamo vivere così, nella paura. Se corrispondi parzialmente, forse puoi restare per un po’. Però non negli alberghi, “a scrocco nostro”. Ma in quei centri brutti e sporchi, che alla fine non sono molto differenti dalle vostre case africane. Se invece non corrispondi proprio all’identikit, dipende dal perché: se non corrispondi perché sei vestito firmato, che cazzo ci fai qui? Via subito. Vai a fare il nababbo al tuo paese. Se, al contrario, non corrispondi perché sei “normale”, allora abbiamo la soluzione per te. E puoi addirittura scegliere: “lavorare” nei campi, diventare un numero non registrato nei cantieri edili o nelle fabbriche, oppure se sei donna (e magari più chiara di pelle) puoi fare la badante. Poi dicono che non siamo accoglienti…

Stamattina ho seguito un approfondimento sul caso di Montichiari, paese in provincia di Brescia. La mia provincia. Quando succede nei paesi dove magari hai calpestato campi di calcio o parterre dei palazzetti nei concerti, ti si annebbia per un attimo la mente. Ripensi alla tua infanzia, vissuta insieme ad Amir, il grande attaccante della tua squadra, oppure a Janina, la bambina altissima delle elementari, che sorrideva sempre. Pensi e ripensi, fino a perderti nei ricordi. Perché il presente è differente. Un enorme armadio, con tantissimi separé. Ogni spazio isolato dal resto. Uno recita “italiani”. Un altro “negri”. L’altro ancora “musulmani”. Oppure, “le filippine”.

Vi lamentate quando vi chiamano razzisti, perché voi “non lo siete affatto”. E giudicare una persona dal suo luogo d’origine, oppure dalla gradazione di nero, che diavolo significa? Quali sono le motivazioni che vi portano a negare il passaggio a qualcun altro? Perché identificate il vostro momento di difficoltà economica con la vita di persone che sono povere da quando sono venute al mondo? Perché, anziché incolpare i “negri” per un viaggio disumano, non iniziamo a mettere la stessa rabbia contro chi davvero uccide la nostra vita e la nostra economia? È più pericoloso “il negro” o il mafioso? Perché queste domande NOI non ce le poniamo mai? Perché presenziamo alla Santa Messa la domenica e poi non pratichiamo il Vangelo quotidianamente? E soprattutto, perché davanti a tali ingiustizie e barbarie, non ci indigniamo più? Perché restiamo in silenzio, affiancando al nostro Paese la parola razzista? Ora è il momento di dire basta. Di fare battaglia e di scegliere da che parte stare. Facciamoci sentire. Perché io non sono come loro. Io non giudico e non giudicherò mai una persona in base al colore della pelle o alla religione di appartenenza.

Pochi mesi fa, nel comune di Peschiera Borromeo dove vivo, una madre ha ritirato il proprio figlio dal centro estivo comunale, perché uno dei volontari che aiutava gli educatori era un profugo. Un’altra, invece, andava a prendere suo figlio prima che questo ragazzo della Guinea entrasse in servizio. Spesso mi sono domandato: “che insegnamento avranno prodotto a loro figlio quelle madri?”. La speranza che non muore proviene proprio dalle scuole che osservo quando sono chiamato a parlare a bambini e ragazzi nei vari progetti educativi che seguo. Ebbene, cari genitori, cari cittadini, cari “amanti dei bancali nelle strade”, dovreste vederli i vostri figli a scuola. Dovreste osservare le mani di Ahmed che stringono quelle di Matteo. Dovreste davvero prendere un permesso di lavoro per capire la bellezza dell’amore, nei piccoli gesti di Stefania che pettina i capelli di Amina. Oppure nell’abbraccio di Valeria alla compagna di banco Isoke. Loro saranno il superamento dell’odio. Loro decreteranno la fine dell’Inferno dei viventi. Senza che voi ve ne rendiate conto. Perché sarete ancora accecati. Dall’odio.

15 commenti su “Io non sono come voi”

  1. Ma perché Voi di qualcosa di Sinistra usate frasi offensive tipo: imbecille da tastiera? Le opinioni delle persone, specialmente scritte sui socialnetwork, vanno prese per come uno la pensa, nel rispetto reciproco dei pensieri altrui. Nn capisco questo gergo offensivo usato per chi in n la pensa come si vorrebbe!!! La civiltà ed il rispetto dei diritti umani che fine ha fatto? I grandi di SX (es Berlinguer) di certo nn usavano questi termini, e nemmeno Fini di DX!!!! Ma la politica in che porcello è finita????

  2. Quello che non capisco più è il significato pratico della parola giudicare. Ho sempre pensato che esprimere un giudizio su qualcuno mi aiutasse a pormi in relazione con lui, e che il mio giudizio non c’entrasse molto col rispetto dovuto o con i suoi diritti fondamentali, civici e così via. Mi spiego: giudicare una donna col velo come devota all’Islam mi aiuta a non offrirle una cena a base di maiale, ma averla giudicata (in base alla sua religione) non mi consente di privarla dei suoi diritti, o di non offrirle la compassione se sta soffrendo. Mi sembra che illudendoci di non poter giudicare le persone si finisca col privarci del dialogo.

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