Le barricate di Goro e Gorino costringono dodici donne e otto bambini a migrare altrove. Per l’ennesima volta. Come uccelli sorpresi a beccare nell’orto opulento. Scacciati a colpi di pentola dai nuovi (pochi, si spera, ma gli altri dov’erano?) eroi locali, che certamente non mancheranno alla prossima messa domenicale.
“Si tratta solo di dodici donne, di cui una incinta” spiega il carabiniere; “m’interessa un cazzo” risponde l’intrepido erede di Carlo Martello. “Eppure lo sapevamo anche noi, l’odore delle stive, l’amaro del partire, lo sapevamo anche noi” avrebbe cantato Gianmaria Testa. Ma forse la sua musica non è mai approdata nella laguna padana.
E poi, si sa, il passato non interessa più a nessuno.
Dicono che l’arrivo di queste persone avrebbe rovinato il turismo. Ora, dopo questa prova di eleganza e cortesia finita sui media di mezzo mondo, siamo certi che i turisti faranno a gara per affollare i loro ostelli. Per fortuna però esiste anche un altro presente. Napoli, per esempio.
Terra dei fuochi camorristici, certo. Ma sempre più terra dei fuochi di Resistenza. Giovani in lotta per la propria dignità e per quella degli altri. Senza barricate che le separino. 465 migranti arrivati domenica mattina e accolti da striscioni di benvenuto: “Napoli is your home”. I volontari che dopo due giorni devono chiedere di non portare più abiti in dono. Ne sono arrivati troppi.
Lezioni di civiltà.
Avranno di che festeggiare le camicie verdi di Salvini, ora che possono insultare di nuovo negri e terroni, tutti insieme, come ai vecchi tempi. Occorre però superare il turbine di emozioni che questi fatti hanno inevitabilmente suscitato. Occorre trarne una sintesi. E l’ennesima lezione.
Il sistema di accoglienza “profughi” in Italia vive una divaricazione non più tollerabile. Da un lato il sistema ufficiale, lo SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati). Sistema efficiente ed efficace, guardato con interesse dall’Europa intera: micro-accoglienza (appartamenti con 4-5 ospiti l’uno), operatori specializzati, lezioni d’italiano, assistenza giuridica e sanitaria. Corsi di formazione e ricerca lavoro.
Rendicontazioni stringenti e controlli capillari. E tanto altro di buono. Con un grande neo: l’adesione necessaria ma facoltativa degli enti locali. Dall’altro il sistema “emergenziale” fondato su convenzioni dirette tra privati e Prefettura. Alcuni di questi privati lavorano (come da convenzione) offrendo servizi in linea con gli standard SPRAR. Molti altri no.
E nessuno ha la forza (o la voglia) di controllare. E allora poi ti capita una “mafia capitale” qua e là. L’immigrazione non è più un’emergenza. E’ un fenomeno strutturale. Necessario all’economia italiana ma certamente complesso. Come ogni servizio indispensabile, anche la gestione dell’immigrazione, deve essere esercitata in egual modo su tutto il territorio nazionale.
Lasceremmo in balia degli umori di questa o quella giunta l’erogazione dei servizi a disabili o anziani? Occorre estendere il sistema SPRAR a tutti i Comuni in via obbligatoria, con quote percentuali alla popolazione residente. La media nazionale è di 2 rifugiati o richiedenti per mille abitanti.
Una presenza impercettibile. Altro che invasione. I sindaci sarebbero sollevati dall’ansia di perdere il consenso, potendo scaricare la responsabilità delle scelte sul sistema nazionale. Si sentirebbero finalmente dire: “Lo Stato italiano accoglie in questo modo. Se non ti va bene ti dimetti dal tuo incarico.” Punto.
Con buona pace dei barricaderi di Goro e Gorino. E dei loro cervelli (quelli sì, davvero) in fuga.
Perché il manganello, quando serve, rimane sempre nella fodera…