Liberi e infelici

Solitamente i funerali sono eventi silenziosi, in cui la tristezza colma i vuoti che il defunto ha lasciato nelle vite dei presenti. Strano rito però è quello in cui la salma viene derisa, la sua memoria umiliata, i suoi averi tirati a sorte. Ebbene, questo accade da trent’anni o giù di lì, ossia da quando le campane suonano a morto per le ideologie. I governanti e i magnati non provano nemmeno a celare la loro soddisfazione nel dire che oggi viviamo nell’età che ha sconfitto le rigidità degli “ismi”. Comunismo? Quella roba si è estinta! Socialismo? Meglio Terza via. Neoliberismo? No, New Economy. Come se quella fosse l’unica economia possibile, poi.

Ma questa enorme farsa non è perfetta: curiosamente questa crociata non tange l’ismo più grande del mondo di oggi, il capitalismo. In effetti, esso non può essere considerato un’ideologia: se lo ritenessimo tale, dovremmo anche ammettere che (come tutte le ideologie) esso possa essere solo una delle tante alternative disponibili. E invece no, il capitalismo è l’unica solida realtà su cui la società può svilupparsi nei secoli dei secoli, amen. O meglio, così vogliono farci credere: demonizzare le ideologie è funzionale a creare questa grande messinscena. Ma com’è accaduto tutto ciò? Perché?

Ci troviamo all’inizio degli anni Ottanta. Il modello di sviluppo che ha fatto volare l’Occidente negli anni del boom economico si è arenato. L’industria è insidiata dalla concorrenza dei paesi in via di sviluppo, i mercati dei beni di massa sono saturi, l’inflazione galoppa, la crisi energetica è riesplosa. I detentori del potere economico allora passano all’attacco con una soluzione drastica: espandere al massimo i mercati esistenti e crearne continuamente di nuovi. In quest’ottica è necessario commercializzare tutto ciò che è mercificabile, spogliandolo di ogni valore che non sia il prezzo di vendita. Ma questo processo non si può applicare ad ogni cosa. Si può mercificare un ideale? Si può dare un prezzo alla volontà di creare un nuovo ordine sociale? Se la risposta è no, tutto ciò va distrutto. In sostanza, la regola d’oro è che ogni limite al mercato deve essere colonizzato dal mercato stesso o abbattuto. I due grandi generali di questa operazione furono Ronald Reagan e Margaret Thatcher, ma è triste constatare che fino ad oggi quasi tutti i loro omologhi e successori abbiano incoraggiato questo imbarbarimento.

Adesso guardiamoci intorno. I diritti sociali vengono venduti da ospedali e scuole gestiti come imprese private, il lavoro svenduto a ore come una carabattola da due soldi. Il voto non è più considerato un diritto-dovere il cui esercizio è volontario, ma necessario per il buon funzionamento della democrazia. Andare alle urne è diventato un optional, che può essere soddisfacente per alcuni ma di cui in fondo si può anche fare a meno. Del resto anche i partiti sono ormai aziende che creano i programmi in base ai gusti temporanei degli elettori-consumatori. Ma attenzione, la mercificazione penetra molto più in profondità. Cerca di convincerci, ad esempio, che i rapporti umani possano essere sostituiti da un social network. Oppure che l’amore è destinato a diventare un sentimento precario e sempre in balia della frenesia di un mondo che ci esige flessibili, nomadi nella terra del profitto. Oppure che non ha senso la fede in un mondo diverso, quella che spinge ad unirsi, farsi forza reciprocamente e combattere per realizzare un ideale. Perché l’amicizia, l’amore e le ideologie non si possono vendere o comprare. Sono dannosi per il sistema, segnano un confine che l’avidità del capitalismo non può superare. Così tentano di distruggerceli, per dividerci e scagliarci gli uni contro gli altri in nome dell’egoismo.

Il peggio è che ci indorano la pillola. Ci dicono che è giusto così, perché questa è vera libertà: fare sempre ciò che ci è utile, anche a costo di schiacciare il prossimo. Brutto, vero? Beh, è la legge del mercato onnipotente. Pazienza se la qualità della vita peggiora, se noi giovani non abbiamo punti di riferimento, se viviamo in un mondo così brutale e frustrato. Oggi siamo tutti più liberi. Liberi ma soli. Liberi e infelici.

Siamo atomi immersi in una società frammentata, piccoli e indifesi contro un potere sempre più grande che ci schiaccia irrimediabilmente. E lo fa ogni giorno bombardandoci con la pubblicità e con la retorica del “non c’è alternativa”, propinandoci dei modelli di successo innaturali che aumentano la frustrazione e l’oppressione (il mondo della moda ne è l’esempio più ovvio). Su questo panorama desolante si celebra la morte dei valori e delle utopie, sostituite da una egemonia culturale spietata e altrettanto ideologica: la società di mercato.

Insomma, più che ad un funerale sembra di assistere all’episodio dell’Iliade in cui un tronfio Achille trascina per le strade il cadavere martoriato di Ettore, nonostante le lacrime dei genitori. Achille non sa però che basterà una sola freccia al tallone per essere fatto fuori da Paride, fratello di Ettore timoroso e sensibile. Così all’arroganza del capitalismo, che crede di poter risolvere tutto con la forza bruta, noi opponiamo la bellezza dell’umanità fiera di essere umile. Prima o poi la freccia fatale scoccherà: noi siamo Paride.

4 commenti su “Liberi e infelici”

  1. Credo non sia un caso che l’affermazione secondo cui le idelogie non esistono più proviene, di solito, da gente di destra o o da populisti (che, poi, sarebbero i qualunquisti di una volta)!

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