In ordine sparso oggi si ricevono inviti, da più parti, ad “aprire gli occhi”, a “studiare”, ad “approfondire”, soprattutto in faccende che appaiono vitali per essere un cittadino responsabile ed informato.
Dopodiché periodicamente tornano ad essere virali le statistiche di ISTAT od OCSE sull’analfabetismo di ritorno, che, dati alla mano, sembra essere una piaga notevole, soprattutto in Italia. Perciò, gli stessi inviti ricevuti in precedenza, dinanzi a questa situazione, mettono in forte dubbio la stessa credibilità di chi li formula.
Da più parti poi sorgono i cori di accuse; c’è chi addita il nostro sistema educativo, tanto osannato, di mostrare ormai tutti i suoi limiti; altri, tendenzialmente iscritti all’anagrafe da più tempo, vedono nella tecnologia, nei tablet, nei social network e in internet in generale la fonte di tutti i mali. Evidentemente non è questo il luogo adatto per risolvere questo dibattito, soprattutto perché non si potrebbe che addivenire a soluzioni di buon senso retoriche e banali.
Tuttavia, non si può negare che oggi esista un problema legato all’educazione e sull’elaborazione del pensiero che può avere dei pesanti risvolti sull’agire quotidiano. Per quanto il nostro sistema scolastico presenti dei limiti e delle lacune, non si può concludere che sia l’unica causa. Non lo è per la semplice ragione che oggi la scuola, così come l’università, non è più l’unico luogo di formazione e in futuro, quando l’asticella del sapere si sposterà più in alto o in altre direzioni, lo sarà sempre di meno. Ecco che allora dovrebbero prendere il sopravvento altri luoghi di formazione. Ma ancora, le statistiche riportano desolazione circa i libri letti dagli italiani o le visite ai musei. Le persone che vanno al cinema sembrano crescere, ma i palinsesti privilegiano nettamente film, per così dire, leggeri e, quindi, anche qui c’è chi ritiene legittimo lamentarsi.
Quello che, però, dovrebbe far riflettere di più è il comportamento sul web; Facebook ci ha insegnato a leggere soltanto i titoli o a saltare e righe nella lettura di post o articoli più lunghi di un tweet, concentrandoci solo sulle parole-chiave per poi unire i puntini, confidando che l’immagine risultante appaia sensata e condivisibile. Inevitabilmente questo si riflette in comportamenti e ragionamenti deleteri. Evidentemente conoscere e approfondire costa fatica, richiede tempo e può non soddisfare tutti.
Ecco che allora persino le figure che dovrebbero ricoprire quei luoghi deputati all’esempio della collettività si lasciano andare alle più becere conclusioni, semplici, superficiali e, il più delle volte, sbagliate. Una responsabilità enorme ricade sull’attuale classe politica che, abbandonato il trend del passato di elevare le masse, sta compiendo da tempo un’autentica gara al ribasso per quanto riguarda la complessità dei propri ragionamenti e l’elaborazione delle proprie proposte, totalmente in controtendenza rispetto al classico prototipo di Burke del politico “superiore” al cittadino medio. Inevitabilmente questo atteggiamento ha svuotato di contenuti il pensiero politico attuale; lo ha appiattito ad una perenne rincorsa del fatto contingente, senza risolverlo perché gli strumenti del sapere sono ormai stati abbandonati e senza, dunque, avere un briciolo di lungimiranza che porti ad una politica del futuro. Non sorprende, perciò, l’emorragia di intellettuali che li ha progressivamente allontanati sempre più dalla politica e gli stessi, quando incastrati in qualche talk show, tendenzialmente sprofondano in quel vortice della superficialità per mostrarsi più appetibili al pubblico e per combattere quell’immaginario di vecchi saggi tromboni, relegati in un angolo polveroso della società.
Senz’altro, però, la realtà di oggi è eccessivamente complessa per essere convinti che questa superficialità dilagante possa risolverla definitivamente. Una soluzione evidentemente non esiste, ma può esistere un metodo, che è un infinito percorso di conoscenza, approfondimento e applicazione. Probabilmente, il pensiero non può reggere sempre il passo frenetico dei mass media, ma, talvolta, ha bisogno di procedere con una maggiore lentezza, necessaria per combattere l’errore. Il risultato finale può non essere garantito, ma senz’altro sarebbe un solido antidoto verso quelle conclusioni frettolose e superficiali che bruciano ogni dubbio, mostrando come un tesoro splendente la certezza. Voltaire ci aveva già avvisati: “il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola”.
La scuola non è certamente l’unica responsabile, però potrebbe comunque dare una mano nell’insegnare agli studenti a pensare con la propria testa.
Tutto vero.Se ci pensiamo con attenzione ,per ogni problema che crediamo. Di aver risolto se ne presentano altri da risolvere e’ che avevamo messo solo delle toppe.Guardiamoci attorno per constatare cosa siomo riusciti a risolverea soprstutto facciamo,ogni tanto un esame introspettivo,se ne siamo capaci, potremmo capire megli,spero.
se ne presentano altri da affrontare
Stiamo vivendo in un periodo di transizione….i modi di agire attuali non sono altro che tentativi di trovare un nuovo equilibrio….
riflessione , attenzione, ragionamento , analisi e introspezione……..prima di scrivere sui social………!!!!
non vorrei che riflettendo troppo, ci ritroviamo a non decidere nulla, tutto è discutibile, tutto è migliorabile, ma credo che vivere sia l’unica possibilità che abbiamo e il diritto di esprimere le proprie opinioni anche se fastidiose sia obbligatorio da parte nostra. danjlo