#Srebrenica, 20 anni dopo

Rileggere il conflitto bosniaco per capire l’Europa
di Federico Maccagni – Foto di Francesco Millione e Silvia Manini

Cosa è successo negli anni 90 nei Balcani? Che lezione possiamo apprendere, a 20 anni da Srebrenica, per almeno provare ad avere gli anticorpi ed evitare che il virus dell’odio razziale dilaghi ancora?
La metafora della polveriera pronta ad esplodere non regge, perché il meticciato culturale è sempre stato l’essenza della Bosnia, il fattore etnico e religioso era assolutamente irrilevante. Parliamo di una popolazione che ha prosperato tranquillamente sotto l’Impero Ottomano, sotto l’Impero Austro-Ungarico e poi nella Jugoslavia Socialista. Se guardiamo indietro nel tempo scopriamo che i bosgnacchi musulmani altro non sono che serbi o croati cristiani convertiti all’Islam qualche centinaio di anni fa, in un contesto in cui l’Impero Ottomano concedeva agevolazioni fiscali a chi si convertiva alla religione di stato (ma mai la impose ne nelle città ne tanto meno sulle montagne). Perde così senso il discorso nazionalista per cui l’identità di un popolo sta nelle sue origini, in quanto nel guardare indietro per cercare queste origini quando ci dovremmo fermare? 100 anni fa? 500? 2000? L’identità è un concetto relativo e in evoluzione.
Il filosofo David Hume affermava come l’identità sia una “mera finzione psicologicamente spiegabile ma non logicamente giustificabile”. Un artificio dunque, un artificio usato come un’arma perché chi propone un identitarismo radicale, finisce per proporre una dicotomia secca tra “noi” e “loro”, tra “me” e “l’altro”, tra le “persone per bene” e chi minaccia di alterarne l’identità. Qui in Bosnia ci dicono che sono più identitarie le persone che durante il conflitto sono scappate in Germania o in altri stati europei, ascoltando musica tradizionale e portando in alto vecchi rancori, di coloro che invece sono rimasti, che quei rancori almeno in parte hanno superato. Questo dimostra come tutto è relativo.
E che quindi era un’operazione disdicevole quella perpetuata negli anni ’90 dai capopopolo serbi e croati, che rivendicavano la conquista forzosa di uno “spazio vitale” che tanto assomiglia a quello che rivendicava Hitler nel Mein Kampf. La stessa operazione disdicevole che fanno razzisti e nazionalisti oggi in tutta Europa. Capire la Bosnia è un viaggio risalendo il fiume di Conrad alla ricerca di Kurtz, un viaggio al centro dell’Europa perchè il virus che ha infettato la terra dei Balcani si sta espandendo in tutto il continente.
Forse per capire le motivazioni di questa guerra fratricida dovremmo guardare al confine ucraino in cui i migranti vengono manganellati e scacciati con gli idranti, o potremmo anche rimanercene in Italia, osservando meglio quello che è successo neanche quattro mesi fa a Treviso e a Roma, rivolte popolari contro l’accoglienza dei profughi. Picchetti, cibo e vestiti bruciati, appartamenti vandalizzati, croci celtiche. Questa è tensione non latente ma già manifesta. Non è un avvisaglia, è un conflitto aperto.
Nei Balcani abbiamo assistito ad una guerra fratricida, nella “Fortress Europe” assistiamo a muri che si alzano e esultanze per i barconi che affondano, situazione diversa, stesso virus.
E’ la truffa del razzismo che si insinua nell’organismo sociale, viene fomentato lo scontro orizzontale, tra pari, facendo leva sulla razza (concetto peraltro antiscientifico come dimostra l’antropologo Diamond in “Armi, acciaio e malattie”) quando la giusta chiave di lettura sulle attuali migrazioni dovrebbe essere quella verticale, perché affrontare un viaggio della speranza verso “occidente” è un atto politico, un tentativo legittimo di riappropriarsi di parte della ricchezza indebitamente accumulata a nord del Mediterraneo. A chi in Italia sta a cuore lavoro, diritti e uguaglianza sociale dovrebbe vedere nei migranti un fondamentale alleato. Ingrossando le schiere degli “ultimi” rendono molto più forte questo segmento sociale, più forti le sue rivendicazioni, la classe dirigente questo lo sa bene ed è per questo che perpetua la truffa, crea conflitto orizzontale, sguinzagliando come a Roma e Treviso i cani da guardia di Lega Nord e Casa Pound.
Il popolo d’Europa sta perdendo l’occasione storica di riuscire ad incassare quest’ondata migratoria, farla diventare un valore, innescando un cambiamento positivo nella nostra vecchia e stanca società. Ne avremmo un tremendo bisogno, invece la direzione è opposta, guidiamo verso il baratro fingendo che non ci sia, rimaniamo spettatori come lo è stata la popolazione di Sarajevo che fino all’ultimo ha pensato “qui non può succedere nulla”.
Dalla Bosnia mi sono appuntato alcune frasi: “per costruire una casa servono i soldi di una vita, mentre per distruggerla basta comprare una tanica di benzina”,  “l’odio è come una malattia, chi odia finirà ammalato perché l’odio dilaga, non può odiare solo una persona, finisce per odiare tutti”. In queste due frasi sta l’insegnamento del popolo bosniaco.

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