#Turchia: il sultano #Erdogan è vivo e vegeto

Le elezioni turche di ieri riconsegnano una maggioranza più che stabile all’AKP a distanza di appena sei mesi da quelle di giugno che avevano visto un forte indebolimento del partito del presidente Tayyip Erdoğan.

In questi sei mesi la Turchia si è trasformata in una vera e propria repubblica militarizzata: attentati violenti nel cuore del paese (ultimo fra tutti quello nella capitale Ankara), il riaccendersi della lotta fra il PKK e il governo centrale e la tensione generale nel Medio Oriente hanno facilitato l’opera della polizia turca, manovrata dal Presidente della Repubblica, nel creare un clima di costante tensione e controllo sulla popolazione, specialmente quella parte più giovane e più ostile al neottomanismo di Erdoğan e del suo primo ministro Davutoğlu.

L’AKP, che torna vicino al 50%, ha combattuto questa cruciale battaglia elettorale sfruttando la repressione e l’intimidazione, mentre i brogli, denunciati in queste ore sia dalle forze d’opposizione che da diversi osservatori internazionali, denotano l’importanza che Erdoğan ha riservato al voto di ieri.

Dipintosi come vittima dell’estremismo separatista curdo rappresentato dal PKK, Erdoğan ha riversato l’odio suo e dei suoi sostenitori – tantissimi – verso la forza di Sinistra (N.d.T. descritta erroneamente come liberale dai giornali italiani) del Partito Popolare Democratico (HDP). Egli ha così avuto la possibilità di intercettare il voto del partito di estrema destra dei nazionalisti, guidato dall’anziano Bahçeli che, chiuso anch’egli nella sola retorica anticurda, ha portato l’MHP al peggiore risultato elettorale della sua storia, finendo ultimo partito per rappresentanza nella Grande Assemblea Nazionale e ottenendo un modico 11,90%, il 4,39% in meno rispetto alle scorse elezioni.

In questo scenario, le organizzazioni internazionali occidentali – NATO e UE in primis con tutti i suoi grandi leader – hanno alimentato, nel silenzio generale dei media e anzi nella mediatizzazione in chiave anticurda delle stragi che proprio hanno colpito maggiormente la minoranza curda e pro-governativa, il consenso elettorale del Presidente, forte appunto della sua posizione nello scacchiere globale che lo vede fra i protagonisti dell’offensiva – non molto forte e con diverse zone oscure – contro lo Stato Islamico.

Il partito curdo di sinistra ha resistito a questo clima d’odio riuscendo comunque a superare la soglia di sbarramento del 10% (dal 13,12% delle precedenti al 10,75% di ieri) e congelando di fatto la riforma costituzionale in chiave presidenziale tanto agognata da Erdoğan: il presidente è lontano dai 367 deputati necessari a far passare la riforma senza necessità di referendum ma ne è a soli 17 dalla possibilità di consultare la popolazione.

La lotta fra gli islamisti dell’AKP fiancheggiati dalla comunità internazionale e le opposizioni democratiche dei kemalisti (ferme ormai al 25%) e della sinistra è a un punto di non ritorno. Il salto nel vuoto di ieri può far precipitare la più importante democrazia mediorientale nelle braccia di un solo uomo che con metodi fascisti ha imposto il suo controllo sulla popolazione, alimentando odio, repressione e paura. Da migliore alleato del centrodestra Europeo, Erdoğan si è ritagliato il ruolo di guida dell’area più calda del pianeta. Oggi qualcuno starà festeggiando la vittoria dell’«amico Recep». Di certo non sono i ragazzi si Suruç.

9 commenti su “#Turchia: il sultano #Erdogan è vivo e vegeto”

  1. Bisognerà cominciare ad interrogarsi, prima o poi, sul perchè i popoli d’Europa scelgano di perdere quote di democrazia interna in favore di governi nazionali “forti” e spregiudicati.

  2. Davvero la maggioranza dei Turchi ha votato questo essere? Dopo tutto quello che è successo in Turchia ultimamente a me viene un sospetto. Ma, ovviamente, non ci sono le prove.

    • In che senso? So che la frase è bella, ma anche “l’aratro traccia il solco, ma è la spada che lo difende” non è esteticamente male, quindi bisogna riempirla di contenuti per valutarla.

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