Matteo Renzi ha ammesso la sconfitta. Del resto, sarebbe stato paradossale non farlo. Anche perché quando non va a votare 1 elettore su 2 è sempre una sconfitta, non per il sistema partitico, ma per la democrazia. A cui ai partiti, in questi anni, non è sembrato importare molto, visto che hanno continuato ad utilizzare le istituzioni come fossero cosa loro e a deteriorarle a tal punto che sempre più larghi strati di popolazione hanno perso qualsiasi tipo di fiducia, tanto da preferire il non-voto.
Oggi noi stiamo vivendo gli effetti più disastrosi della Questione Morale: non perché ci siano più corrotti, più corruttori e perché il peso delle organizzazioni mafiose nella politica, nella società e nell’economia è molto più capillare di prima; tutto questo è semplicemente una conseguenza. La Questione Morale è il centro del problema, non solo italiano, perché dalla sua risoluzione dipende il recupero della fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Quante volte, al bar o tra amici, si sentono frasi del tipo “la politica è una cosa sporca”, “i politici sono tutti ladri”, “sono tutti uguali” e via discorrendo. C’è una cultura dietro queste frasi, ed è una cultura di destra, che ad ogni scandalo si allarga e si propaga, diffondendo nel cittadino la convinzione a negarsi il proprio diritto, andandoselo a cercare sotto forma di favore, pagandolo o con la famosa bustarella o, peggio ancora, con il voto all’amico dell’amico.
Matteo Renzi, che voleva rottamare tutto, non ha voluto rottamare la Questione Morale: o meglio, l’ha fatta sparire dall’agenda politica, così come tra i suoi discorsi molto smart non ha mai trovato il modo di pronunciare la parola mafia. E dire che, se proprio non se ne volesse fare una questione politica, perché della qualità della democrazia pare non fregare niente a nessuno, se ne potrebbe fare una questione economica: la sola “tassa mafiosa” (cioè quanto politico corrotti, imprenditori collusi e membri delle cosche sottraggono ogni anno alla collettività) è valutata tra i 250 e i 500 miliardi di euro. Una cifra che, messa a bilancio, permetterebbe di azzerare il debito pubblico in 5-10 anni e darebbe all’Italia la possibilità di abbassare la pressione fiscale, attirare investimenti esteri, dotarsi di un welfare state degno di questo nome e tante altre cose che oggi sembrano irrealizzabili.
Ma di tutto questo il premier non sembra interessarsi: ha ammesso la sconfitta, anche perché non poteva non farlo dopo la Caporetto dei ballottaggi e la riduzione di quasi la metà dei voti delle Europee (del resto, se metà dell’elettorato delle europee del PD era di destra, appena la destra ha trovato un nuovo leader, i voti sono tornati a casa). Solo che ha deciso che la colpa ora è delle primarie e del “Renzi 2”.
Peccato che di Renzi ne sia sempre e solo esistito uno: banalmente, una volta andato al governo, si è dimostrato quel che è, vale a dire il perfetto erede della tradizione craxian-berlusconiana che ha flagellato questo paese negli ultimi 30 anni. Prove muscolari contro la Costituzione, contro i sindacati, contro le minoranze, contro il Parlamento, ricorso sistematico all’insulto e alla delegittimazione dell’avversario, slogan efficaci su twitter ma inefficaci per produrre reale cambiamento. Senza contare la valanga di impresentabili e riciclati, tenuti dentro solo per aumentare il consenso elettorale. Il grande bluff era sostenuto anche grazie ai giornali “progressisti” che in maniera oscena si sono schierati con lui, indipendentemente da quel che dicesse o facesse. La chiamano modernità: eppure cancellare i diritti e mantenere i privilegi è roba assai antica, anzi ancestrale.
Matteo Renzi è riuscito a fare gran parte di quello che la Destra non è riuscita a fare in 20 anni, sfruttando il fatto di essere a capo di un partito di “Sinistra”, benché avesse una cultura di destra. Merito delle primarie che ora vuole eliminare. Stare a Sinistra gli ha permesso di silenziare quegli stessi militanti democratici che, per disciplina di partito (leggi trinariciutismo, l’unica cosa staliniana che dopo il Muro avrebbero dovuto rottamare e che invece si sono tenuti), se ne sono stati buoni buoni ad esprimere il dissenso in sezione quando, se le stesse cose le avesse fatte Berlusconi, avrebbero riempito le piazze del Paese.
Il mantra degli ultimi mesi è stato: basta con gli ideali, ci fanno perdere. Peccato che oramai la “spinta propulsiva” del renzismo sia finita: finalmente la gente ha capito che sotto gli slogan, sotto l’immagine del leader vincente, non c’era nulla, solo la volontà di occupare poltrone e conquistare sempre più centri di potere.
Quando un progetto politico si fonda solo sull’occupazione del Potere, puoi vincere una volta, due, ma alla lunga la gente capisce. Quando ti presenti agli elettori promettendo di rivoluzionare tutto e poi ai vertici delle aziende di Stato nomini sempre gli stessi, i giovani sono costretti ad emigrare, i veri privilegi rimangono mentre i pochi diritti vengono cancellati perché chiamati privilegi… alla lunga tutto questo porta alla sconfitta. Dopo un anno e mezzo, l’Italia di Matteo Renzi non è più dinamica, più reattiva, più giovane, più giusta. E’ anzi peggiore di prima.
Non è vero che a Sinistra non si vince: a Sinistra si è vinto, in passato, per altro elevando culturalmente gli italiani e non fomentando i loro istinti più bassi e meschini. Ma si è vinto perché c’erano degli ideali: come diceva Norberto Bobbio, la differenza tra Destra e Sinistra sta qui. Perché ci sia la Sinistra devono esserci gli ideali, alla Destra bastano gli interessi. Matteo Renzi non ha portato avanti ideali: solo interessi. Quelli dei più forti.