Quattro anni di lotta

Oggi Qualcosa di Sinistra compie 4 anni. Di solito le grandi celebrazioni si fanno ogni cinque, ma questo 12 novembre è speciale, perché oggi è anche il 25° anniversario della Svolta della Bolognina. Quella data che segna la fine del PCI e la nascita del PDS è vissuta da molti come una liberazione e da altri come una sciagura: per noi che siamo nati dopo la caduta del Muro di Berlino è stata semplicemente un’occasione mancata.

La fretta con cui è stato archiviato il più grande partito comunista d’Occidente, con una mancanza di rispetto per la storia e le storie che si intrecciavano in una comunità unica, non ha prodotto nulla di nuovo, solo una lunghissima agonia che ha prodotto la supremazia del modello craxiano di politica: perché come ricordava Enrico Berlinguer, citando Francois Mitterrand, “tagliare le proprie radici nella speranza di rifiorire meglio è solo il gesto inutile di un idiota“.

Perché ai fattori della crisi della politica e della Sinistra a livello mondiale nelle società occidentali, si sommano dei fattori specificatamente italiani, che hanno una e una sola causa: la gigantesca e dannosa rimozione culturale su quello che il comunismo italiano è stato e in buona parte continua ad essere per la Sinistra italiana.

Rinnegare i propri padri, nella speranza di trovare eredi, e inventare nuove identità per non dover fare i conti con quella che effettivamente avevano, ha portato i post-comunisti a produrre solo una cosa: una marea di orfani e figli unici, che con la disintegrazione della dimensione collettiva si sono rifugiati in gran parte in un arido e desolato egoismo individualista. E così Lor Signori, anziché diventare padri di una nuova eredità, sono rimasti gli eterni giovani di quella vecchia.

Erano così preoccupati a dimostrare all’Italia intera che non erano più (e non erano mai stati in alcuni casi) comunisti, che non si sono minimamente preoccupati non solo di definire una volta per tutte cos’erano (e cosa volevano diventare), ma soprattutto cosa pensavano e volevano fare per dare una voce alle speranze di chi ha sempre votato a Sinistra e oggi non la vota più: in poche parole, a chi vuole un Paese Diverso da quello che ci hanno lasciato i corrotti, i collusi e i cretini che ci hanno governato e ci governano tuttora.

Quando è nato questo blog volevamo riallacciare i fili con quelle radici, con quelle storie, perché, checché ne dicano i cultori del nientismo renziano, quelle storie e quel pensiero ci parlano ancora e sono molto attuali: non basta un milione di tweet di Renzi per fare una riga di Antonio Gramsci.

Questo non vuol dire guardare al passato, significa avere la cassetta d’attrezzi giusta per costruire il futuro: un futuro diverso dall’attuale presente, che pare essere l’unica dimensione possibile. La Politica oramai è appiattita sull’esistente e la Sinistra, per citare Saramago, aggrava questa condizione perché, dopo il crollo del Muro di Berlino, “non ha più la benché minima schifosa idea di come debba andare il mondo.”

Questo blog è stato pensato come un fortino di resistenza culturale, uno strumento per far tornare a funzionare i cervelli. Raccontiamo storie perdute e fatti ritrovati, facendo della serietà, della coerenza e dell’obiettività il nostro punto di forza. Il che non significa non essere “di parte”: come diceva Enzo Biagi, “io sono anche fazioso, ci sono persone che non mi piacciono e la mia principale preoccupazione è farglielo sapere.

Se questo blog è quello che è bisogna ringraziare anzitutto voi che lo leggete e condividete: grazie quindi, e buon compleanno a “Qualcosa di Sinistra”. Noi continueremo a lottare: perché chi ha lottato prima di noi merita anzitutto rispetto per tutto quello che ci ha lasciato.

1 commento su “Quattro anni di lotta”

  1. Da qualche tempo seguo con grande interesse e stima questo sito, ma devo ammettere che a volte, alcuni post, mi lasciano perplesso. Lungi dal voler fare della polemica, vi chiedo con sincera curiosità: quanto dell’eredità, delle radici, della cultura del PCI accogliete, abbracciate, valorizzate? A tanti anni di distanza immagino che, anche solo in minima dose, del revisionismo sia necessario. Sbaglio?

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