Carrieristi #Antimafia, ora basta

Ieri c’è stato l’ennesimo colpo alla credibilità dei paladini antimafia dei giorni nostri. E, quindi, nuove cartucce in canna a chi rimesta nella famosa polemica dei “professionisti dell’antimafia“, inaugurata da Sciascia sul Corriere della Sera più di un quarto di secolo fa.

Rosy Canale, diventata un’icona della lotta alla ‘ndrangheta in quanto imprenditrice che si era opposta allo spaccio nella sua discoteca e fondatrice del movimento “Donne di San Luca”, è stata arrestata per truffa aggravata e peculato. Sì, avete capito bene: la neo-vincitrice del premio Paolo Borsellino non si faceva mancare nulla: coi contributi statali, che dovevano servire per promuovere attività a favore della collettività sul territorio, si pagava viaggi, beni e vizi personali. Circa 160mila euro distratti dall’associazione per “fini personali“. E nelle intercettazioni compare anche un «Me ne fotto, non sono soldi miei», rivolto alla madre che tentava di dissuaderla dalle sue spese pazze.

Il premio Paolo Borsellino vinto da Rosy Canale, il 7 dicembre 2013

Dopo Caterina Girasole, arrestata il 3 dicembre scorso per corruzione aggravata, c’è da chiedersi: si può continuare in questo modo? Si può continuare a mandare in fumo anni di lavoro sul territorio per sensibilizzare i cittadini sul pericolo mortale delle Mafie, quando arrivano notizie del genere che minano alla base la credibilità del movimento antimafia stesso?

Lirio Abbate dice che non ci sono più simboli, dopo la morte di Falcone e Borsellino, perché “le persone che vanno in giro a dire cose contro la mafia per me non sono dei simboli. Sono persone normali che come tanti cittadini, prendono coscienza della situazione”. E su questo gli do ragione, se non altro perché di simboli (leggi: bersagli) ne abbiamo avuti fin troppi che sono stati massacrati in vita, salvo poi idolatrarli dopo la morte. Ma gli esempi, no, quelli ci sono, anche se non vanno sui giornali, anche se non stanno perennemente in televisione, anche se non ricevono gli ammiccanti occhiolini dei radical chic dell’antimafia, quelli che pensano che la lotta si riduca allo sventolio di bandiere o ai banchetti al bordo marciapiede a vender spillette.

Il fatto drammatico è che oramai larghi strati dello stesso movimento antimafia sono impregnati di quella che Falcone definiva la mentalità mafiosa: lo vedi quando ci sono esponenti di eminenti (e mediaticamente molto apprezzate) associazioni che in un raduno dei loro giovani a Torino attaccano WikiMafia – Libera Enciclopedia sulle Mafie, la cui unica colpa, a quanto pare, sembra essere quella di essere rimasta estranea al circo dell’antimafia istituzionale. Anche se poi, in realtà, si scopre che un’enciclopedia libera, scientificamente controllata e, soprattutto, gratuita, fa calare le vendite dei loro “prodotti editoriali” antimafiosi ed è per questo che va delegittimata.

E allora il problema non è quello dei professionisti dell’antimafia, come diceva Sciascia, ma di quelli che già una volta ho definito i carrieristi dell’antimafia, perché per combattere contro un esercito di professionisti del crimine ci vogliono persone preparate e competenti, che anzitutto investano su se stessi e la propria informazione, in maniera disinteressata. Il problema sono quelli che se ne approfittano.

Oramai in Italia basta iscriversi ad un’associazione antimafia, fare un banchetto, scrivere un articolo, per diventare subito esperti del fenomeno mafioso: la passione per la lotta, quella vera, quella difficile, quella fondata sulla conoscenza e sulla diffusione di essa viene vissuta con fastidio e chi la segue attaccato persino da pezzi del movimento antimafia stesso. E dire che era Gramsci a dire che la cultura è l’arma più potente per ribellarsi ai padroni.

Commentando l’arresto della Canale, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri ha detto:

Attenzione a chi si erge a paladino antimafia senza avere dietro una storia. C’è gente che è morta per questo e non possiamo tollerare come magistrati, come giornalisti, come cittadini che ci sia gente che lucra e che dell’antimafia fa un mestiere.

Ecco, è giunto il momento di dire basta. Ai cretini, ai mafiosi, ai collusi, ma soprattutto ai cialtroni che vogliono far solo carriera. Altrimenti finisce che per il cittadino comune il mafioso è meglio dell’antimafioso e siccome in molti già lo pensano, non mi pare il caso di estendere la platea. Servirebbe quasi un certificato DOC per l’antimafioso, se non fosse che, in un paese come il nostro, l’appalto per lo stampaggio finirebbe per vincerlo la ‘ndrangheta.