La moderna ricerca biomedica contempla tra i suoi metodi anche l’uso di modelli animali. In altre parole gli scienziati studiano sugli animali alcuni fenomeni o proprietà che potrebbero essere utili o fondamentali per la salute dell’uomo. L’animale da laboratorio è dunque e appunto un modello (detto in vivo) per la comprensione di noi esseri umani, ovvero esso mostra certe caratteristiche che lo rendono adatto a rappresentare alcuni aspetti della natura umana quali la fisiologia, l’anatomia, i processi molecolari, lo sviluppo etc etc.
Ad esempio dallo studio inizialmente sui girini di alcuni anfibi e successivamente anche su altre specie (inclusi mammiferi), si è potuto gettare luce sui processi che governano lo sviluppo embrionale. Al giorno d’oggi, in cui si affaccia sulla scena la medicina molecolare, le biotecnologie rendono possibile creare cavie che “mimano” una certa patologia (come la mutazione di un gene o la sua assenza) al fine di comprenderne il funzionamento, l’eziologia e soprattutto di fornire indicazioni sul come combatterla. Senza scendere in scenari così complessi, la pratica dei trapianti (oggi fenomeno abbastanza comune, quantomeno per certi organi) nasce e si perfeziona proprio a partire dai primi studi su animali.
Accanto ai modelli animali troviamo altri metodi come gli studi computazionali (in silico) attraverso i computer o quelli basati sulle colture cellulari (in vitro). E’ bene precisare che questi approcci non sono completamente alternativi ma piuttosto complementari. A volte è possibile fare a meno del modello animale mentre in altri casi esso si rende necessario. Se si vuole studiare ad esempio come un tumore cresce e si sviluppa in un contesto organismico al momento non è possibile se non attraverso il suo studio all’interno, appunto, di un organismo stesso.
Quanto abbiamo detto potrebbe essere riassunto nella forma di un ragionamento del tipo “se…allora”. In altre parole se si vuole studiare un certo fenomeno (esempio la tumorigenesi) allora è necessario utilizzare un certo approccio.
L’uso dei modelli animali è ovviamente rigidamente regolato (quantomeno in Europa) al fine di ridurre al minimo le sofferenze per gli animali stessi. Ridurre al minimo non significa eliminarle certo ma, questa l’opinione di molti scienziati, dato il fine della ricerca il prezzo da pagare è considerato accettabile. Di contro, alcune frange del movimento animalista questionano proprio questo punto. Dato che la ricerca necessariamente porterà un minimo di sofferenza agli animali allora essa non è mai giustificata. In altri termini gli oppositori della sperimentazione animale sostengono che non sia etico far soffrire un essere vivente, indipendentemente dal fine che si persegue.
Lo scontro tra ricercatori e animalisti è purtroppo polarizzato in un modo che non aiuta a risolvere né tanto meno a comprendere la questione. Da una parte gli scienziati rivendicano la necessità scientifica di poter usare gli animali per i loro studi, dall’altra gli animalisti sostengono la disumanità di tale pratica, non importa con che fine. Il punto è che nessuna delle due contrapposte fazioni centra il cuore della questione che è essenzialmente valoriale.
In quel “se” di prima c’è tutto il bandolo della matassa. Il nodo centrale è che la sperimentazione è giustificata nel momento in cui attribuiamo alla salute dell’uomo e alla conoscenza un valore superiore rispetto alla vita degli animali.
E’ su questo, che gli scienziati devono impegnarsi e prendere posizione. Gli animalisti che negano certi fatti scientifici sono solo ignoranti. Ma i ricercatori che affermano che la sperimentazione è utile per la ricerca senza impegnarsi nello spiegare perché la ricerca sia importante mancano il vero bersaglio.
Per far capire meglio questo punto, ci si permetta una provocazione. Nel dibattito contro i creazionisti, gli scienziati spesso sostengono che la teoria dell’evoluzione ci mostri quanto sia sciocco pensare che l’uomo sia al vertice di una fantomatica scala evolutiva. Non esiste insomma una specie che sia “più evoluta” di altre. Sostenere il contrario è una sciocchezza scientifica, smentita da una mole di dati esorbitante. Biologicamente parlando insomma, tutte le specie sono sullo stesso piano. Dunque perché quanto invece si parla di sperimentazione si argomenta senza problemi che il valore dell’uomo è superiore a quello di un topo?
Perché appunto operiamo tale distinzione sulla base di valori che vanno oltre la dimensione scientifica. I ricercatori dovrebbero capire che dunque sostenere la sperimentazione appellandosi solo “ai fatti della scienza” finisce per produrre la contraddizione di cui prima. Al solito la scienza priva di pensiero critico si trasforma nel più pericoloso scientismo. E lo scientismo è nemico della ricerca quanto l’ignoranza.
di Federico Boem