Rossano Ercolini, Grillo e l’agonia dei Verdi

Lunedì 15 aprile Rossano Ercolini è stato il primo italiano a vincere il premio Goldman, il cosiddetto Nobel per l’ecologia. Ercolini è un ex maestro elementare, oggi presidente di Zero Waste Europe. Il suo lungo cammino è iniziato negli anni ’70, quando si oppose alla costruzione di un inceneritore vicino alla scuola dove insegnava ed è continuato anche in politica, nelle liste dei Verdi, prima nel comune di Capannori e poi per un breve periodo anche in Regione.

Già, i Verdi. Proprio quel partito che in nordeuropa viaggia comodamente a doppia cifra a tutte le elezioni (nazionali ed europee) e che è entrato, nel 2010, per la prima volta anche alla Camera dei Comuni britannica.

E se proviamo a ragionare solo di numeri e non di storie politiche, a doppia cifra in Italia c’è il MoVimento 5 Stelle, cinque stelle che al di là di ogni critica, svolta autoritaria e dabbenaggine di alcuni suoi attivisti vogliono ancora dire Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività e Sviluppo. In Germania i seggi assegnati ai Verdi possono decidere la coalizione di governo e l’intero andamento di una legislatura. In Italia che a noi (o a loro) piaccia o no questo ruolo tocca al partito di Grillo.

Questione di numeri. Il grosso del movimento ecologista italiano oggi non è lacerato fra Bonelli e De Petris. So che darò fastidio ai fedelissimi grillini, ma se i pentastelluti sono il principale riferimento per gli ambientalisti non è perché Grillo racconta del fotovoltaico svizzero come fosse andato su un altro pianeta o perché si scagliò contro l’inesistente fragola-pesce. Il suo merito (o la sua furbizia, secondo i punti di vista) è stato quello di affiancare movimenti spontanei preesistenti, ma non sufficientemente agglutinati fra loro. Parlo di No-Tav, di Acqua Pubblica e anche di Rifiuti Zero.

I Verdi, abbracciando logiche partitiche e correntizie, hanno lasciato un vuoto laddove serviva un mezzo di coesione, una struttura in grado di comprendere i punti di aggregazione nel panorama eterogeneo dei movimenti dal basso, i quali, per il loro naturale orientamento verso la risoluzione immediata dei problemi locali, faticano a riconoscersi e coalizzarsi.

Il suicidio volontario di un partito verde comporta l’anarchia del pensiero e dell’azione ambientalista nazionale: Grillo ha amplificato (o ha cavalcato, sempre secondo i punti di vista) tutto ciò che l’ambientalismo ha espresso negli ultimi anni, ne ha fatto un collage, l’ha arricchito con la retorica della casta e le urne gli hanno dato ragione. La corrente mediatica grossa è quella delle battaglie civiche, e queste, per uno strano gioco di specchi, legittimano tutto quell’humus di complottismo paranoico di cui è imbevuta la società, humus che non crea sostanza ma fa numero. Se oggi vuoi parlare di risorse rinnovabili lo devi fare sul blog di Grillo e accettare che il tuo contributo sia livellato sulla biowashball: uno vale uno, è il prezzo da pagare per essere ascoltati. Un prezzo forse troppo oneroso per poter davvero rivoluzionare il nostro modello di sviluppo.

Quello di cui sento la mancanza è la voglia di ricostruire un partito che metta l’ambiente come sua priorità, che sviluppi metodi di cooperazione fra la politica, i comuni cittadini, l’industria e la ricerca scientifica, che si faccia portavoce e organizzatore della lotta (come fu ai tempi del nucleare) laddove ce n’è bisogno, non mettendoci il cappello a cose fatte. Vorrei un partito in cui si possa discutere di eolico, di rifiuti zero, di riserve naturali, di prevenzione delle catastrofi, senza la necessità di pubblicizzare i libri di Giuliani o sventolare lo spauracchio del pomodoro killer per non dover affrontare criticamente la questione OGM. Vorrei che si ripartisse dallo spirito e dai contenuti di testi rivoluzionari come Primavera Silenziosa, dai pericoli per la salute dei lavoratori, dalla lotta all’ecomafia.

Vorrei un partito e non ce l’ho. Non ci si può accontentare di un posticino al sole nel parco del grillopensiero o di fare da spalla a Vendola.

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