I partigiani sono morti per la libertà, i repubblichini no

A quanto pare siamo ancora qui, alle prese con un revisionismo storico senza capo né coda, che per l’ennesima volta vorrebbe propinarci la storia dei poveri ragazzi di Salò vittime di un regime razzista e autoritario, morti loro malgrado per una causa sbagliata. In questo modo vorrebbero far passare la gloriosa “guerra di liberazione” per una banale guerra civile tra schieramenti ideologici contrapposti: possono dire quello che vogliono, non sarà mai così.

Dalla caduta di Mussolini fino al 25 aprile 1945 da una parte c’erano i partigiani italiani che lottavano per la libertà del nostro Paese (diventato la succursale bellica della Germania) e dall’altra c’erano i Nazisti che questa libertà non la volevano negare per sempre solo a noi, ma a tutta l’Europa. E i fascisti, checché ne dica Pansa che nei suoi libri va alla ricerca dei “crimini dei partigiani” (si dimentica sempre che in guerra “mors tua vita mea“), stavano con i nazisti. Quindi contro la libertà e la democrazia nel nostro Paese.

E sarebbe bene dirlo, a quelli che parlano a vanvera del comunismo italiano: in Italia la libertà l’ha tolta la Destra, non la Sinistra. Motivo per cui il Partito Comunista Italiano era il più grande partito comunista d’Occidente con oltre un terzo dei consensi dell’elettorato italiano.

Quasi vent’anni di revisionismo insistente e massacrante hanno portato al sorprendente risultato per il quale partigiani e repubblichini sono solo “giovani mossi da ideali contrapposti, ma ugualmente rispettabili” , che in realtà il fascismo non è mai esistito, semmai è esistito il mussolinismo, una dittatura dal volto umano che è stata presentata per pagine intere sul primo quotidiano nazionale.

Come si è arrivati a questa crisi dell’antifascismo? Come tutte le storie, c’è una data precisa: martedì 24 novembre 1993, quando Silvio Berlusconi, non ancora sceso in campo, dichiarava come sindaco di Roma avrebbe preferito Fini a Rutelli. Lo stesso Fini che l’anno prima aveva festeggiato i settant’anni della marcia su Roma, tra svastiche, croci celtiche, saluti romani e camicie nere.

La Sinistra della gioiosa macchina da guerra non mosse un muscolo, non protestò un attimo: di fronte alla provocazione almirantiana di tenere un congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, la generazione precedente era scesa in piazza, pagando anche un prezzo di sangue altissimo di fronte alla repressione reazionaria democristiana (qualche gioioso riformista del Pd si ricorda per caso i morti di Reggio Emilia?), mentre questa non aveva mosso una piega.

Quel 24 novembre 1993 ha segnato la fine dell’orizzonte antifascista dell’arco costituzionale, grazie soprattutto al silenzio della sinistra ufficiale. Da quel momento in poi l’anti-antifascismo è stato prima legittimato e in seguito canonizzato in tutte le sue forme, ideologiche, storiografiche e morali.

La Resistenza Antifascista su cui è nata la Repubblica democratica viene ogni giorno delegittimata, insultata, infangata, proprio perché quel 24 novembre nessuno parlò, tutti stettero in silenzio: quello fu il primo di una lunga serie di silenzi, che hanno portato la sinistra semplicemente a esistere solo sulla carta. Quello fu il Peccato Originale di questa Sinistra.

 Sarebbe ora che la Sinistra attuale (se ancora così si può chiamare) si schieri senza alcuna timidezza contro questa Italia del profitto sfrenatodell’occupazione clientelaredella caccia al diverso dell’impunità dell’establishment.

Perché questa Italia si può combattere e sconfiggere, ma a patto che le si contrapponga un’Italia della legalità, della solidarietà e dell’efficienza. E un’Italia del genere non si costruisce sui silenzi e, magari, aspettando le sentenze dei magistrati. La si costruisce dando l’esempio.

Domani sarò a Marzabotto, a ricordare i partigiani morti per la libertà. Giovani come me, che con la loro breve esistenza hanno dato l’esempio per costruire un’Italia migliore. Forse è il caso di recuperare quell’esempio e metterlo in pratica tutti i giorni, non ricordandosene solamente il 25 aprile.


 

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