Vivono con i ladri e poi fingono di stupirsi se rubano – Giorgio Bocca

Se il cittadino comune pensa a Mario Chiesa, l’amministratore milanese che rubava ai poveri e diseredati del Pio albergo Trivulzio, la sua prima, dominante constatazione è di trovarsi di fronte a una sorta di alieno, uno con cui si è rotta la comunicazione. Non è tanto una questione di morale, perché in ciascuno di noi risuona pur sempre l’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ma di separazione. Una persona normale, uno dei quaranta e più milioni dì italiani che in qualche modo lavorano, guadagnano più o meno bene, hanno rapporti di normale amicizia o conflittualità con i loro datori di lavoro, non riesce più a capire uno come Chiesa che, potendo essere anch’egli persona normale, passa la vita a taglieggiare il prossimo, a nascondere la refurtiva, a coltivare una rete sempre più fitta di rapporti inconfessabili per la gente comune, ma normali per quelli della sua confraternita politica.

II padreterno, se c’è, dovrà vedersela anche con l’anima di Mario Chiesa, se c’è. A noi tocca semplicemente di interrogarci sul come i Mario Chiesa hanno condotto questo sistema politico alla stessa incomunicabilità che ha segnato la fine ingloriosa dei regimi comunisti dell’Est, alla stessa separazione fra burocrazia politica al potere e gente comune. Nella politica e nel vivere associato degli uomini il buon governo non é sinonimo di moralità, nonostante le reciproche esortazioni dell’altare e del trono. La storia è piena di ottimi governi diretti da uomini corrotti. Ma sinonimo del buon governo è, non può non esserlo, il consenso, inteso come partecipazione di tutti alle sorti del paese, come circolazione delle idee, delle informazioni, dei sentimenti, dei miti, dei valori e delle utopie che fanno di un paese una nazione. Questi valori comuni, questi interessi comuni di democrazia e di crescita civile e sociale ci sono stati nei primi due decenni della Repubblica e non ci sono più proprio per la moltiplicazione e l’assuefazione ai Chiesa.

Paragonare Mario Chiesa come ladro a Francis Bacone o a Samuel Pepys è come paragonare un fringuello a un’aquila reale. Francis Bacone fu processato con quarantun capi di imputazioni dalla camera dei Lord e Samuel Pepys se la cavò solo per la protezione di principi e monarchi, ma il primo fu ìl fondatore della scienza moderna e il secondo della marina da guerra britannica, fondamento della gloria e dell’impero elisabettiani. Al processo Francis Bacone ammise le sue colpe attribuendole metà a sé e metà al suo tempo, e qualcosa del genere cerca di fare Chiesa dicendo che parte del denaro lo dava al partito. Ma il tempo di Chiesa, invece di produrre una gloria e un impero a cui anche i sudditi parteciparono, produce separazione sociale e paralisi politica.

Il discorso sulla politica che ha da essere morale è altra cosa da quello sulla immoralità che uccide la politica. I nostri partiti – sia colpa del tempo o della pessima selezione da questo tempo pretesa o da qualche demone suggerita – non hanno capito in tempo che questo tipo di autofinanziamento loro e dei loro dirigenti e funzionari non era legittimabile agli occhi della gente comune, era una pratica che separava il corpo sociale in due: quelli del ceto al potere che possono, anzi devono rubare a maggior gloria del partito e a comodo loro, e gli altri a cui ogni giorno gli stessi ladroni e le istituzioni ricordano severamente che il furto è un reato. Non si può fondare una nazione sul racket dei politici che impone tangenti del dieci per cento e poi ti vota una legge per combattere il racket della malavita che si accontenta del cinque e magari di meno. Non si può continuare nella penosa recita dei dirigenti di partito, compagni di scuola e di cordata dei Mario Chiesa, che simulano orrificati stupori, espellono il reprobo, si stracciano le vesti e i capelli mentre sanno benissimo che proprio in occasione della campagna elettorale e delle sue spese crescenti tutti stanno dandosi da fare per tirare a bottega altro denaro. Magari ricattando, come avviene per le televisioni private, i loro imprenditori con le concessioni mille volte promesse e mille rimandate.

16 commenti su “Vivono con i ladri e poi fingono di stupirsi se rubano – Giorgio Bocca”

  1. Alessandro, ma che ne sai tu chi era Bocca? Prima di sparlare a vanvera informati poi magari se ti riesce, esprimi critiche o concetti seri. Si puo’ essere pure su opposti principi, ma credo che sulla coerenza e credibilità di Bocca come giornalista e come uomo non ci sia nulla da dire.

  2. ECCO CHI ERA GIORGIO BOCCA, PRIMA FASCIO E POI ANTIFASCISTA.. IN EFFETTI VOLTAGABBANA COME IL POPOLO ITALIANO SU QUESTO NULLA DA RIDIRE… LEGGETEVI LE SUE ULTIME DICHIARAZIONI, QUANDO ORMAI, VECCHIO, NON AVEVA PIU’ NULLA DA NASCONDERE.. HA SOLO PRESO PER IL CULO: Ad un’intervista: “Insomma, la gente del Sud è orrenda (…). C’era questo contrasto incredibile fra alcune cose meravigliose e un’umanità spesso repellente. Una volta, a Palermo, c’era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie. Vai a Napoli ed è un cimiciaio, ancora adesso» – Giorgio BoccaL’intervistatrice, disperata, cerca di fargli dire qualcosa di gentile sui meridionali, gli chiede se non veda «poesia, saggezza» nel modo di vivere di quelle parti. E il faraone, implacabile: «Poesia? Per me è il terrore, è il cancro». Sono «zone urbane marce, inguaribili». Unica consolazione: il Sud fa talmente schifo che se vai lì ne cavi di sicuro qualche bell’articolo. Quando lo dice, l’intervistatrice s’illumina: «Quindi sei grato, se non altro…» Ma Giorgio: «Grato, insomma… Come dire: sono grato perché vado a caccia grossa di belve. Insomma, non sei grato alle belve, fai la caccia grossa, ma non è che fraternizzi con le belve». Eppure, nei suoi libri, qualche parola consolante sul Meridione si trova… Beh, presto spiegato il mistero: «È necessaria un po’ di ipocrisia. Sapevo sempre che dovevo tener buoni i miei lettori meridionali, quindi davo un contentino».”Pasolini? Mi dava noia la sua omosessualità. Sono un po’ omofobo” – Giorgio Bocca

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