Resistere, resistere, resistere

 Sessantasei anni fa l’Italia veniva liberata dal nazifascismo. È sempre bene ricordare, di questi tempi, che all’Italia la libertà l’ha tolta la Destra e non la Sinistra. E che è contro la Sinistra, o meglio, contro gli ideali di libertà, giustizia, uguaglianza e fratellanza che portava avanti, che per centocinquanta anni di storia si sono costruite alleanze, regimi, sistemi, perlopiù illiberali e illegittimi, molto spesso legittimati da potenze straniere, che avallavano mafia, corruzione e sovversivismo fascio-piduista pur di scongiurare “il pericolo rosso”.

Se Karl Marx aveva presentato lo Stato come un “comitato d’affari della borghesia”, bisogna ammettere che nella storia italiana recente (leggi Seconda Repubblica) i più accaniti anticomunisti hanno fatto l’impossibile per dargli ragione. Realizzando però un rovesciamento di prospettiva: quel comitato non è più il custode delle leggi e dell’ordine borghesi contro il sovversivismo proletario, bensì il loro distruttore, a vantaggio del sovversivismo dei ricchi. E in questo spazio si inseriscono la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, che beneficiano di questa demolizione interna delle virtù repubblicane costituzionali sul piano politico, morale e culturale.

L’assoggettamento delle priorità e dei tempi del parlamento alle esigenze di un imputato non ha che rovesciato, infatti, il senso comune di giustizia in larghi strati del Paese. Si tratta di un fatto senza precedenti nella storia repubblicana, imparagonabile con le pur scandalose applicazioni dell’istituto dell’immunità parlamentare (abolito nel 1993), perchè in quest’ultimo caso il Parlamento si esprimeva (e pur ora si esprime con l’autorizzazione a procedere) su una richiesta della magistratura che riguarda un suo singolo componente. E lo fa(ceva) avvalendosi, male, di una legge costituzionale allora esistente, senza produrre una nuova legge e bloccando il processo legislativo di un intero Paese. Ora invece deputati e senatori, nominati e non eletti, sono costretti a produrre quella legge su misura dell’imputato eccellente che li ha nominati, come dipendenti senza diritti, costretti a contingentare i tempi per fermare il normale corso della giustizia, senza la minima preoccupazione se questo o quel provvedimento avrà effetti devastanti sul Sistema.

Schiere di avvocati in Parlamento che le pensano tutte per salvare il loro deputato non nel processo (le prove sono schiaccianti e sarebbe impossibile per un imputato normale scamparla), ma dal processo, non possono che avere un effetto devastante sull’etica pubblica e sul messaggio rivolto ai giovani, offrendo l’immagine di una giustizia privatizzata senza la minima preoccupazione dei pubblici interessi.

Dove sopravvive oggi lo spirito della Resistenza? Certo nella Costituzione e nello spirito costituzionale dei suoi cittadini, nelle associazioni, nelle università, non a caso sempre più demolite e ridotte all’aridità civile e culturale. Ma anche e soprattutto in quei magistrati, continuamente delegittimati in vita e poi promossi a santini da sbandierare in televisione quando sono morti (leggi Falcone e Borsellino), e nella parte sana delle forze dell’ordine, che è sempre più messa all’angolo dal disfacimento interno delle istituzioni.

Disse Sandro Pertini, nel suo famoso appello ai giovani: “La nuova Resistenza in che cosa consiste? A voi giovani io dico di difendere le conquiste che noi abbiamo ottenuto in anni di lotte. Questa è la Nuova Resistenza. E oggi ci vogliono due qualità a mio avviso, il coraggio e l’onestà. A voi giovani dico dunque di cercare di essere onesti. Perché la politica va fatta con le mani pulite.”

Ecco, se non vogliamo che tanti giovani italiani della mia età siano morti invano, “impegniamoci tutti, casa per casa, azienda per azienda”, come disse dal palco di Padova, poco prima di morire, Enrico Berlinguer. Perché Enrico, Sandro e tutti gli altri che sono morti per un’Italia più giusta, libera e democratica non sono morti. Le loro idee, le loro battaglie, camminano sulle nostre gambe.

25 commenti su “Resistere, resistere, resistere”

  1. Lettera di addio di un partigiano alla sua amata.
    Liana amatissima, mia gioia, mia vita, c’è una grande sete nel mio cuore, in questo momento e una grande serenità . Non ti vedrò più mia Liana, mi hanno preso, mi fucileranno. Scrivo queste parole sereno d’animo, e col cuore spezzato nel medesimo tempo per il dolore che proverai. Ti ho detto stasera prima di partire: Liana io ho tanta voglia di riposare vicino a te. Io riposerò vicino a te, sulla tua spalla, nel tuo animo, ogni notte per tutta l’eternità. Mio bene tanto caro, ho mille scuse da chiederti per le gentilezze che non ho avuto per te, che meriti per tutto… La mia ultima parola sarà il tuo nome, il nome che è inciso sulla fede che ti mando. Tu parlerai alla mamma mia, tu la consolerai, se sarà possibile, povera vecchia: povera cara mammina! Vieni soltanto di tanto in tanto sulla mia tomba a portare uno di quei mazzettini di fiori campestri che tu sapevi bene combinare. Addio, debbo salutarti, cara e tanto amata: non mi importa di perdere la vita perché ho avuto il tuo amore prezioso per quasi tre anni ed è stato un grande dono. Muoio contento per essermi sacrificato per un’idea di libertà che ho sempre tanto auspicata. Metto la mia firma e sulla fede i miei ultimi baci. Tuo per sempre Giovanni..

  2. Ricordare per resistere ad ogni tentativo di revisionismo astorico e bugiardo. La Costituzione nata dal 25 aprile è il testamento dei nostri padri che hanno sofferto, combattuto, che sono morti per la democrazia e che mai nessuno riuscirà a scipparci.

  3. Il 25 aprile 1945 non si ebbe per una congiunzione astrale favorevole; ebbe bisogno di molti morti, feriti e giovani carcerati o confinati. Il compagno Pertini in carcere si rammaricava quando arrivavano nuovi prigionieri, perché la gran parte erano comunisti, i socialisti poche unità. Io penso, mi si passi la battuta, che il compagno Pertini aveva capito che i comunisti sarebbero stati meglio ad operare sul territorio.

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