Il filo nero che lega #Falcone, #Ambrosoli e #Contrada

C’è un filo che lega Giovanni Falcone, Giorgio Ambrosoli, di cui oggi ricorrono i 38 anni dall’omicidio, e Bruno Contrada, fresco di condanna revocata: è un filo nero, anzi oscuro, quasi quanto le ombre che ancora esistono sulle stragi.

Anzitutto, Giovanni Falcone: c’è stata una giusta indignazione popolare amplificata dal web per la distruzione della statua posta davanti all’istituto scolastico del quartiere Zen che porta il suo nome e quello dell’amico Borsellino. Una prova in più della giustezza d’analisi di Antonino Caponnetto, che una volta disse “la mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa“. Eppure, stessa indignazione non c’è stata per il sistematico smantellamento dell’eredità giuridica di Giovanni Falcone, dai continui tentativi di abolire il 41bis, di cancellare il concorso esterno in associazione mafiosa, di equiparare il mafioso a un detenuto qualsiasi, giusto per fare gli esempi noti.

Spacciano tutto questo per difesa dei diritti umani, fanno a gara a citare la Costituzione quando parla della finalità rieducativa della pena. Sui social media è una gara a chi si dimostra più anticonformista per guadagnare qualche like (e un pizzico di notorietà), e ovviamente l’anticonformismo si misura sul numero di attacchi al movimento antimafia: “giacobino”, “manettaro” e via discorrendo con quegli epiteti coniati appositamente contro il Pool Antimafia negli anni del Maxiprocesso e fatti propri dalla cultura berlusconiana per oltre un ventennio.

Non è difesa dei diritti umani. E’ semplice, pura e sfacciata difesa del fenomeno mafioso, sfruttando stereotipi e ignoranza popolare: basterebbe sapere infatti quale bella vita facevano i mafiosi all’Ucciardone, dove venivano introdotte anche le casse di champagne e da dove i boss emanavano ordini come fossero stati a casa loro, per capire la ragione ontologica del carcere duro. E’ inumano? Per nulla comparabile ai centri di detenzione temporanea per migranti o a Guantanamo. E’ perenne? Per sospenderlo il mafioso può collaborare e ottenere i vantaggi premiali previsti dalla legislazione.

Invece no: la retorica dei diritti umani vale per i mafiosi ma non vale per i poveri cristi. Uno Stato forte con i deboli e debole con i forti: con tanti saluti allo Spirito della Costituzione, calpestato ogni giorno, a partire dalle aule parlamentari. Vogliono rendere più gravi le pene per l’apologia del fascismo? Perché non estendere la norma anche a chi difende apertamente boss come Totò Riina su Facebook?

Giorgio Ambrosoli moriva 38 anni fa perché non si piegò al sistema criminale di cui il fenomeno mafioso è parte integrante: in quanti sanno che si parla anche di lui nelle sentenze dei processi Contrada? Che è stato accertato in sede penale che subito dopo la morte di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, Contrada “riferì all’autorità giudiziaria palermitana di essere in grado di escludere ogni ipotesi di collegamento tra le indagini svolte da Giuliano poco prima della morte e l’affare Sindona, pur nella consapevolezza che l’FBI aveva già provveduto a informare il capo della squadra mobile di possibili collegamenti tra il bancarottiere e la mafia siciliana; non solo, nello stesso rapporto aveva escluso anche l’incontro tra Giuliano e Ambrosoli, pur essendone a conoscenza, neutralizzando ogni spunto investigativo verso un possibile legame tra gli omicidi Giuliano e Ambrosoli“?

E quanti di voi sanno che già nella sentenza di primo grado (5 aprile 1996) che condannava a 10 anni Contrada vi era un intero capitolo legato alla precisazione del reato come stabilito dalle sezioni riunite della Cassazione con la sentenza Dimitri del 1994? E che quindi la base su cui poggia la sentenza CEDU che ha dichiarato non valida la condanna (reato non chiaro, ma fatti chiarissimi e accertati) è inesistente e più che una sentenza uscita da una corte per i diritti dell’uomo sembra uscita dalla sezione penale presieduta da Corrado Carnevale, il giudice “ammazza-sentenze”?

Il filo nero che lega queste figure contribuisce a realizzare un disegno più grande, oramai chiarissimo: si vuole ridurre Giovanni Falcone a un santino mentre nelle aule giudiziarie si torna a prima del Maxiprocesso. Eppure quanti tra i progressisti, gli antimafiosi a parole, gli irriducibili difensori delle libertà individuali, avranno veramente il coraggio di vederlo e di fare qualcosa per contrastarlo? Perché sta tutto qui: nel coraggio. Quello di Giovanni Falcone e di Giorgio Ambrosoli.

Se c’è qualcuno da difendere, di questi tempi, sono loro, la cui memoria (e sacrificio) sono a rischio. Non Bruno Contrada.

4 commenti su “Il filo nero che lega #Falcone, #Ambrosoli e #Contrada”

  1. sembra sia in atto una apologia della mafia oltre quella del fascismo.
    C’è chi la chiama libertà di espressione”.
    OK, impedire l’esaltazione dei reati è “liberticida”

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