Quando la Moratti negava la mafia a Milano

Attilio Fontana presenta la sua “nuova giunta” regionale e il nome più in vista è di certo quello di Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, in politica nota col cognome del marito, Gian Marco Moratti, figlio di Angelo, fondatore della Saras, e fratello di Massimo, ex-patron dell’Inter.

La Moratti ministro

La Moratti è ricordata soprattutto per essere stata, tra il 2001 e il 2006, l’artefice di una delle prime disastrose riforme ai danni della scuola pubblica dell’epoca berlusconiana: solo sul fronte del “funzionamento didattico e amministrativo” i fondi alle scuole statali passarono dai 331 milioni del 2001 ai 185 milioni del 2005. In compenso, aumentarono a 532 milioni i finanziamenti alle scuole private paritarie (negati per mezzo secolo dalla Democrazia Cristiana, furono introdotte dalla legge del Ministro Luigi Berlinguer nell’ultimo governo dell’Ulivo, che di sinistra aveva solo il cognome).

La Moratti Sindaco

Non contenta del lavoro fatto da Ministro, la Moratti decise di candidarsi sindaco di Milano nel 2006 col benestare di Berlusconi e vinse col 52% dei voti. Fece talmente bene che nel 2011 Giuliano Pisapia non solo strappò dopo 18 anni il controllo della città al centrodestra, ma vinse anche in tutte le 8 ex-zone (ora Municipi) della città. Il 27 gennaio 2012, sei mesi dopo la sconfitta e pochissime presenze in aula, si dimise da consigliere comunale per impegnarsi nella Comunità di San Patrignano, oggi sulla cresta delle polemiche per la serie Netflix. Nel 2017 è stata condannata in via definitiva per danno erariale dalla Corte dei Conti per le “consulenze d’oro” durante il suo mandato a Palazzo Marino.

A nove anni dal suo ritiro dalla vita politica, Letizia Moratti torna oggi in veste di vicepresidente della Regione Lombardia, prendendo il posto di Assessore alla Sanità e al Welfare di Giulio Gallera. Ed è qui il guaio.

Perché nel bel mezzo della crisi economica generata dal covid-19 l’assalto alle risorse del Recovery Fund e alla sanità lombarda da parte delle organizzazione mafiose presenti in Lombardia, ‘ndrangheta in primis, è una certezza. Poco prima di Natale lo ha dichiarato anche il Procuratore Aggiunto a Capo della DDA di Milano, Alessandra Dolci. E giustamente su chi ricade la scelta di Fontana, o meglio dire, Matteo Salvini?

Ovviamente su un ex-sindaco che durante il suo mandato ha negato l’esistenza della mafia a Milano. Logico no?

Mafia? Milano non è questo

Il 25 maggio 2009 la Moratti interveniva nella trasmissione Annozero, invitata da Michele Santoro a commentare le recenti inchieste antimafia che riguardavano soprattutto l’Ortomercato e le ‘ndrine di Platì (Barbaro-Papalia) che monopolizzavano il movimento terra. La preoccupazione era che, senza adeguata vigilanza, l’Expo2015 sarebbe diventato un affare per le cosche da tutta Italia. L’allora Sindaco non si espresse mai direttamente sul tema e, di fronte ai servizi che raccontavano quanto emergeva dalle inchieste, dichiarò:

«Io credo che Milano e il territorio circostante, la Lombardia, non possa essere descritta così, perché davvero è un modo di descrivere il nostro territorio che non corrisponde all’anima del nostro territorio. Quindi io davvero credo che ci debba essere la possibilità anche di far vedere ciò che Milano è davvero, quindi non è questo»

Quello stesso giorno era stata definitivamente cancellata la Commissione consiliare antimafia, con una mozione del Popolo della Libertà: bocciata una prima volta dalla maggioranza di centrodestra il 18 febbraio 2008, veniva approvata il 2 marzo dell’anno successivo all’unanimità. Già il giorno dopo venne però stroncata dall’allora Prefetto Gian Valerio Lombardi, che in una lettera al Sindaco dichiarò che la lotta alla mafia «esula del tutto dalle competenze comunali», «confligge con le norme in vigore» e addirittura «è suscettibile di interferire con le istituzioni preposte».

Il risultato fu che il centrodestra, facendosi forte delle dichiarazioni del Prefetto, disertò la prima seduta del 7 aprile successivo, fino alla definitiva cancellazione. Giulio Gallera, allora capogruppo Pdl a Palazzo Marino, riuscì a motivare la cosa con queste parole: “Il compito dei consiglieri comunali non è quello di combattere la mafia, che spetta alla magistratura“. Decenni di antimafia sociale e di eredità di Falcone, Borsellino, Peppino Impastato etc. spazzati via in una frase.

Mafia? A Milano è solo criminalità organizzata

Non è finita qui. Il 21 gennaio 2010, di fronte alla Commissione Parlamentare Antimafia in visita nel capoluogo lombardo, il Prefetto riuscì a dichiarare che «anche se sono presenti singole famiglie, ciò non vuol dire che a Milano e in Lombardia esista la mafia», come se non fossero mai esistiti decenni di rapporti di polizia, inchieste giudiziarie e giornalistiche, manifestazioni antimafia. Il Sindaco lo seguì a ruota due giorni dopo, dichiarando: «Io parlerei, più che di infiltrazioni mafiose, di infiltrazioni della criminalità organizzata».

Qualche mese prima, il 24 novembre 2009, la testimone di giustizia Lea Garofalo veniva rapita a pochi passi dall’Arco della Pace, in pieno centro città, strangolata in un appartamento a Quarto Oggiaro e bruciata e frantumata in un campo a San Fruttuoso. Da uomini contigui alla ‘ndrangheta, che però per le istituzioni di cui Letizia Moratti era la principale rappresentante non esisteva

E infatti, quando il 13 luglio 2010 l’operazione Crimine-Infinito tra Milano e Reggio Calabria squarciò definitivamente il velo della colonizzazione della ‘ndrangheta in Lombardia, la Moratti si disse sorpresa che la rete fosse così ampia (buongiorno, principessa!).

Insomma, cosa può mai andare storto secondo voi, dopo il disastro dell’ultimo anno che ha messo a nudo l’inefficienza e l’incapacità della classe dirigente che dal 1995 governa la Lombardia?