Il miglior regalo per #Falcone

“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.” 
(Giovanni Falcone)

Oggi Giovanni Falcone avrebbe compiuto 80 anni. Fu ucciso a 53, il 23 maggio 1992, insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo.

Fra qualche giorno a Palermo ci saranno le commemorazioni, come ogni anno. C’è chi la considera una “festa” (e in effetti il clima è quello) e chi invece è critico e la considera una “passerella” (e in effetti c’è chi ci va solo per quello, ma per fortuna sono una minoranza). Sia come sia, il vero problema ogni anno è che la maggioranza di quelli che ricordano Giovanni Falcone ignora quello che il giudice simbolo della lotta alla mafia ha subito insieme al collega Paolo Borsellino (e agli altri membri del Pool: Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, che nessuno si fila solo perché sono ancora vivi, ma non per questo hanno rischiato di meno). E non dalla mafia, bensì dallo Stato.  

Le accuse di protagonismo giudiziario, che si alternavano a quella di essere un giudice comunista, addirittura “sociologo” (sì, la mia categoria professionale era usata come un insulto), erano nulla in confronto a quando lo accusarono persino di essersi messo i candelotti di dinamite nel c.d. fallito attentato dell’Addaura. E che dire delle bocciature prima come successore di Antonino Caponnetto, creatore del Pool dopo la morte di Rocco Chinnici, poi come membro del CSM?

Il problema è che i protagonisti di tutto quel fango non hanno mai chiesto scusa. E alcuni di loro si presentano con la lacrimuccia sotto l’albero Falcone (sempre a favore di telecamera). Ma il problema non sono nemmeno tanto loro. Il problema sono tutti gli altri. Salvo infatti gli “addetti ai lavori”, che sono una minoranza della minoranza, i più una volta finita la manifestazione torneranno nell’inazione quotidiana contro la mafia esattamente come avevano fatto i 364 giorni precedenti.

Perché essere antimafiosi, per davvero, costa fatica. Significa non farsi mai gli affari propri, non lasciarne scampare una alla propria coscienza, rifiutare di frequentare certi locali, certi giri, certe persone, andare sempre controcorrente (e quindi subire anche l’isolamento, non solo fisico, ma soprattutto morale)… essere antimafiosi, per davvero, significa essere cittadini, per davvero. Significa rifiutare un sistema, un tipo di società, un tipo di prospettiva che non include nessun’altra prospettiva se non lo status quo.

Significa essere intransigenti con chiunque, rifiutare ogni tipo di doppiopesismo, non guardare in faccia nessuno, tanto più se si aspira ad amministrare la cosa pubblica facendo politica, perché come diceva Sandro Pertini, “le solidarietà di partito sono complicità.” Significa rifiutare ogni compromesso con se stessi, grande o piccolo che sia, non importa quale sia la causa. Essere antimafiosi costa fatica, perché costa fatica essere liberi. E la maggior parte della gente non vuole essere libera, perché la libertà comporta scelte e assunzioni di responsabilità: preferisce essere felice (o illudersi di essere tale).

Tra la libertà e la felicità Giovanni Falcone scelse la prima. E pagò molto. E la sua vita è stata solo l’ultima cosa che ha dovuto sacrificare per portare avanti la sua lotta, per essere un vero antimafioso. Gliene dissero e gliene fecero di tutti i colori, subì valanghe di fango, tradimenti umani dolorosi, amarezze. Sopportò tutto. E il suo eroismo sta proprio nel fatto che considerasse normale fare tutto questo. Nel Paese in cui la “normalità” è svolta da pochi, quei pochi appaiono esseri straordinari. E lo sono, ma non è normale che gli altri stiano fermi o facciano due passi indietro, anziché stare a fianco di chi di passi ne fa 100. Questa tendenza a mitizzare lui e gli altri eroi/martiri della nostra storia civile è la prima difesa degli inattivi che pensano di lavarsi la coscienza postulando una qualche superiorità fisica o morale: “Era un grande, nessuno mai come lui”.

No, ce ne sono tanti come lui, in potenza. Ma per pigrizia o per paura o per inconsapevolezza restano fiori ipotetici che non si daranno mai al mondo. Eppure sfioriranno anche loro, ma senza essere sbocciati. La mafia vince laddove i fiori decidono di non sbocciare. Per sbocciare, ci vuole coraggio. Falcone aveva coraggio. E il suo coraggio consisteva nel fare, molto semplicemente, il suo mestiere. Con onestà. E con la consapevolezza che per ogni fiore che non sboccia, non ci saranno altri semi che germoglieranno. Il modo migliore per ricordarlo è quindi sbocciare. Tutti i giorni. 365 giorni l’anno.

E allora sbocciamo. Nel giorno del suo ottantesimo compleanno, credo non avrebbe voluto alcun altro regalo.