#Catalogna, non servono altri muri

Indipendenza della Catalogna come segno tangibile dei tempi. Dei nostri tempi. Tempi in cui ci si chiude sempre di più, invece di aprirsi. Tempi in cui siamo sempre più lontani dallo spirito dell’Europa dei Popoli a cui auspichiamo. E ne siamo sempre più lontani per colpa di chi, l’Europa, la sta distruggendo e per colpa nostra che glielo permettiamo con rivendicazioni antistoriche.

Il governo spagnolo, come segno tangibile dei tempi. Dei nostri tempi, ma anche di quelli andati. Perché un governo che ricorre al suo braccio armato per manganellare anche i vecchi è un governo alla frutta, regredito a mero apparato repressivo e carceriere che già Foucault aveva descritto cosi bene in relazione alle società pre-democratiche.

Indipendenza della Catalogna come metafora della società contemporanea. In cui pur di nascondere i propri fallimenti, li si arma di identità e cultura di un popolo. E allora ci si arrocca dentro confini che si fanno man mano più stretti, alla disperata ricerca di maggiore sicurezza economica, senza pensare che è la società in cui viviamo che ci vuole sempre più piccoli, sempre più isolati per poterci controllare meglio. Perché l’indipendenza non si dichiara unilateralmente, in dispregio della Costituzione di un Paese, ma al massimo si invocano le elezioni per una nuova costituente, che magari superi anche la forma stato della Monarchia.

Il governo spagnolo come metafora della società contemporanea. Perché un governo che invece di interrogarsi sulle motivazioni, che invece di aprire una discussione seria sulle condizioni del Paese si affida piuttosto alla violenza, è un governo a cui di democratico non è rimasto niente, e rimanda alla peggiore tradizione franchista, segno di una società, questa volta, postdemocratica (per citare Crouch) in cui si vuole il cittadino passivo, oggetto di sondaggi di opinione come un qualsiasi consumatore.

Bisogna però fare attenzione a non confondere la solidarietà a chi, manifestando pacificamente, viene brutalmente manganellato, con l’appoggio all’indipendentismo catalano. Perché se da una parte condanneremo sempre la pratica fascista di usare il manganello contro gente indifesa che manifesta per le proprie ragioni, allo stesso modo siamo convinti che i confini non siano cose statiche e non è detto che debbano rimanere tali solo perché guerre e trattati di secoli fa hanno deciso cosi.

Ma siamo altrettanto convinti che di confini ne abbiamo già abbastanza (su cui sorgono addirittura dei muri). E non c’è davvero bisogno di costruirne degli altri.

14 commenti su “#Catalogna, non servono altri muri”

  1. C’è un sacco di Catalani che non vogliono assolutamente l’indipendenza. Certo che ad un referendum che non vale una mazza promosso dagli indipendentisti, che vincano questi ultimi mi sembra ovvio, vorrei vedere; ad un referendum illegale per l’indipendenza, 9 catalani su 10 tra quelli che non la vogliono, è legittimo se ne siano fregati di andare, 1000 cose migliori da fare. Che poi Rajoy e il governo madrileno siano criticabilissimi già prima della esplicita dimostrazione fascista del manganello, nessuno lo discute, ma credere che stare dalla parte di tutti i Catalani sia essere per l’indipendenza, vuol dire aver capito poco nulla.

    • Per il voto di domenica scorsa non era previsto un quorum come per i referendum abrogativi in Italia. Qui da noi si può presumere (ma sarebbe poi tutto da dimostrare) che chi non partecipa al voto è schierato per il no. In Catalogna, non essendoci un quorum di validità, chi voleva difendere l’integrità del regno di Spagna e opporsi alla secessione aveva tutto l’interesse ad esprimere il proprio voto. Però i contrari sono risultati essere soltanto il 10% dei voti scrutinati. Se pure ipotizzassimo per assurdo che la Guardia Civil abbia sequestrato soltanto urne contenenti i voti dei contrari alla secessione, quelli a favore di una repubblica catalana indipendente risulterebbero ugualmente di una maggioranza schiacciante. Il popolo si è espresso: lo ha fatto con il voto del 1 ottobre, sfidando le violenze e le chiusure dei seggi compiute dagli oltre diecimila agenti di polizia inviati da Madrid, e lo ha ribadito con lo sciopero e la partecipazione oceanica alle manifestazioni del 3 ottobre. Se ci si ritiene democratici, si deve pretendere che venga rispettata la volontà popolare. Non servono altri referendum. Chi lo chiede, spera che a forza di rivotare esca il risultato a lui più congeniale. Ma non può funzionare così!

  2. Tralasciando per un attimo la questione catalana, siamo davvero sicuri che avvicinare il livello decisionale al cittadino (questo sono di fatto le autonomie: i governi rispondono a meno persone e più territorialmente concentrate) sia “isolare per controllare”? Non potrebbe invece – provoco – una risposta a governi sempre più lontani e centralisti che, non dovendo rispondere ad una cittadinanza omogenea e potendo contare sempre su un’infinità di minoranze divise tra loro sia socialmente che territorialmente, rispondono ad interlocutori diversi dall’elettorato?
    Poi magari le forze centrifughe sono una reazione sbagliata, ma allora si deve rispondere alla crisi di legittimazione delle attuali compagini politiche. Oppure si dice chiaramente che il potere deve essere lontano dal cittadino, perché il cittadino quando ha il potere lo usa per invocare le leggi razziali.

  3. Quel regime con la sua costituzione è l’erede del franchismo, è uno strumento del dominio di classe. Non si può riformare entro i vincoli della democrazia borghese. Va rovesciato con un’insurrezione popolare. La lotta per l’indipendenza della Catalogna può essere il primo passo.

I commenti sono chiusi.