Contro l’elemosina dei ricchi

L’immagine di mendicanti e di poveri lasciati a marcire nelle strade provoca, nella stragrande maggioranza delle coscienze, sdegno e commozione. A esse si aggiungono le strazianti pubblicità progresso che compaiono a ogni ora del giorno e della notte, descrivendo le terribili condizioni di vita dei bambini in Africa, America Latina, Medio Oriente.

I cuori si stringono e la richiesta di un aiuto economico da parte di privati che guardano appare più come un dovere morale che come un atto dettato dalla volontarietà. Eppure va evidenziato un aspetto nel gesto caritatevole che deve essere soggetto a critica e che nel dibattito attuale non viene affatto menzionato.

La carità funge come palliativo al male, che è la povertà, la fame, la miseria. Spesso essa è svolta da individui leggermente più fortunati di chi vive al di sotto della soglia di povertà, relativa o assoluta che sia. Basti pensare a enti come le Caritas diocesane che, al di là dell’otto per mille (meno di un quarto finisce infatti in interventi caritatevoli), vanno a svolgere una funzione mutualistica rispetto a servizi essenziali che lo Stato sociale dovrebbe garantire. Va anche segnalato come la pratica mutualistica è stata adottata con successo da SYRIZA, che nel periodo precedente la prima vittoria elettorale ha saputo creare attorno a sé una rete di singoli cittadini che, consci delle drammatiche difficoltà dello stato, mettevano a disposizione la loro posizione di privilegio economico per aiutare i bisognosi.

Se questa carità dal basso – una carità fra poveri, se si va a considerare la reale distribuzione della ricchezza – rappresenta una forma di solidarietà umana, essa non può e non deve sostituirsi all’azione dello Stato attraverso politiche mirate all’eliminazione della povertà.

Eppure, in conformità all’ideologia neoliberista che vede nell’intervento dello Stato l’agire di un essere demoniaco, oggi l’unica forma di grande carità del “Primo Mondo” verso il “Terzo Mondo” è rappresentata dalle foundations di grandi magnati dell’economia o della finanza, basti pensare alla Bill&Melinda Gates Foundation o dalla neonata Chan-Zuckerberg Initiative, entrambe con un capitale che ammonta a circa 45 miliardi di dollari o, in altri termini, all’ammontare del PIL in un anno dalla Croazia e dalla Serbia. Una ricchezza enorme, messa a disposizione dalle famiglie dei due fra i più grandi magnati della tecnologia, che certo continueranno a beneficiare degli ottimi indici di borsa di Microsoft e Facebook, attualmente ai loro massimi storici. A loro si aggiunge il comitato The Giving Pledge, formato dagli individui e dalle famiglie più ricche del mondo, desiderosi di condividere col resto dell’umanità i traguardi del capitalismo, visto da Gates come una «risposta [alla povertà] che merita correttivi tecnici».

Seppur tali iniziative non siano del tutto pleonastiche – è indubbio il contributo della Bill&Melinda Gates Foundation nel risolvere i problemi della malaria nelle zone più colpite – queste mancano di quella radicalità di risposte cui il problema della povertà, della fame e dell’analfabetismo di enormi masse della popolazione in tutto il mondo meriterebbe. Forti della loro posizione di privilegio, acquisita anche attraverso mezzi poco leciti o concorrenza spietata – come sanzionato dagli Stai Uniti e dall’Unione Europea nel caso di Microsoft – i ricchissimi del mondo sembrano lavarsi la coscienza immettendo per loro volontà fiumi di denaro incontrollato nei Paesi in via di sviluppo, da cui il capitale trae illecitamente il 3,87% del PIL.

Una ricchezza che ha al timone uomini e donne che dominano l’industria tecnologica, farmaceutica, finanziaria, culturale. Una ricchezza che, come è ovvio, segue il loro volere, la loro personale idea di filantropia da cui essi traggono un profitto più o meno ampio.

Alla carità individualista della cultura capitalista, che continua a tenere per il collo miliardi di individui nel mondo, bisogna riaffermare i principi di una sinistra che vede nella redistribuzione graduale della ricchezza non una forma di violento esproprio proletario ma un mezzo per porre fine alle violenze della povertà, che creano degrado e gettano individui inermi e senza colpe in un inferno fatto di malnutrizione, analfabetismo e malattia.

9 commenti su “Contro l’elemosina dei ricchi”

  1. specie se poi l’elemosina è defalcabile e spesso, truccandola, serve per frodare il fisco… vedere gli USA. Il sapere che l’1% della popolazione possiede il 70% della ricchezza, da solo basterebbe per spiegare perchè ha un senso essere di sinistra. Al contrario, dall’altra parte, ci sono tanti poveracci disposti a sbranarsi tra loro per disporre delle briciole che i loro padroni gli concedono.

    • il mio parere è che di gente “di sinistra”, nel senso di onesta e desiderosa di equità, ce n’è a iosa, solo che non ha un partito che la rappresenti e si sente abbandonata. Concordo con Tex che ora in politica la sinistra esista solo nel linguaggio della destra estremista, cosa comprensibile perchè gli si deve pur dare un motivo per odiare.

    • Ottavio Monini Sante parole Ottavio. Tutti parlano di “sinistri”, come li definiscono loro, ma alla fine il partito di Sinistra vera, dove sta? Qualcuno l’ha visto? Io no, ed infatti nessuno dei “partiti” attualmente esistenti mi rappresenta.

  2. cancelliamo dal vocabolario le parole elemosina, povertà e ogni parola che indichi una disparità economica e sociale e sostituiamole con la parola :GIUSTIZIA….! lottiamo per ottenere questo…..e vinceremo…..! solo sono potenti sì….ma sono pochi….! noi siamo molti e li distruggeremo……!!!

  3. Comunque o le cose cambiano drasticamente o si va verso il disastro. Non è più possibile che una minoranza esigua detenga tutta la ricchezza del mondo nelle proprie mani mentre la maggioranza stia nella povertà o alla soglia della povertà.

  4. bello quello che avete scritto, ma rimane un esercizio virtuale il comunismo o il socialismo restano una bella ,bellissima utopia,peccato che il comunismo reale abbia fallito, la nomenclatura era ricchissima (come i grandi capitalisti)e i e la gente comune povera e se alla fine qualche ricco fa carità non sputiamoci sopra, pecunia non olet.

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