Una volta le parole indesiderate venivano bandite. Oggi invece accade esattamente il contrario, nella società dello spettacolo in cui siamo immersi. E così interi concetti vengono spogliati, banalizzati, commercializzati. Ogni anno, tra riforme politiche e innovazioni tecnologiche, vengono proclamate tre o quattro rivoluzioni. Roba che neanche la Pravda negli anni Trenta. Se il regime fascista esistesse oggi, l’Internazionale Football Club non sarebbe costretto a cambiare nome in Ambrosiana: probabilmente ci si approprierebbe anche di quel nome sovversivo per farne uno slogan di propaganda. E così si sono presi tutto. Rivoluzione, sinistra, democrazia… ma la parola più abusata di tutte è “libertà”, in tutte le sue declinazioni. Decenni fa chi si chiamava Libero era spesso figlio di anarchici o socialisti, oggi la mente torna al viscidume che per vent’anni ci ha tartassati: Casa-Polo-Popolo della Libertà. Un climax niente male, nel Paese in cui tutti sono liberali. Berlusconi, Renzi, persino Bersani. Chiunque lo proclama, ma ci avessero mai spiegato cosa intendono. Sarà anche per questo motivo se ho nutrito io stesso una certa diffidenza nei confronti del liberalismo in toto, almeno prima di imbattermi in un passo delle lettere di Berlinguer dal carcere:
… Al di sopra di ogni divergenza siamo tutti d’accordo su un punto fondamentale: l’antifascismo. In questo senso tutti possiamo dirci liberali, inteso il liberalismo non nel significato politico o economico, ma in quel più vasto significato umanistico che vuole che a tutte le facoltà dell’uomo sia dato libero sviluppo.
Non significa che Berlinguer fosse liberale, almeno nell’accezione comune che lega il termine all’ideologia capitalistica. Anzi, possiamo persino azzardare che il sistema economico contemporaneo sia la negazione di una delle promesse di cui l’Illuminismo è gravido: la realizzazione della felicità grazie alla luce del progresso scientifico e ad una società che permetta lo sviluppo onnilaterale di tutti gli individui. Adesso, nessun ideale è un monolite e infatti i figli della “rivoluzione borghese” non sono solo Luigi Filippo d’Orléans e Napoleone, ma anche molti enfant terrible. Babeuf e Buonarroti, che fallirono una congiura di stampo egualitario. Jean Meslier, il cui nome fu inciso fuori dal Cremlino tra i grandi del socialismo. I montagnardi, che per un periodo giunsero persino a dare una forte impronta democratica alla Costituzione francese del 1793. Essere liberali in senso umanistico significa inscriversi all’interno di questo solco.
È dunque evidente che il capitalismo non può realizzare le potenzialità del terreno comune della cultura europea: esso mercifica ogni cosa, accumula potere in poche mani, permette che la libertà di uno si regga sulla schiavitù di cento persone. Andate a cantare le lodi del capitale a disoccupati, dipendenti d’impresa ed esodati, sentite cosa vi risponderanno. Mettere l’essere umano al centro significa polverizzare il potere, perché tutti contino allo stesso modo. Sarebbe quindi inconcepibile che questa rivoluzione si realizzasse con la violenza e la coercizione, un punto fermo che attraversa come un filo rosso la nostra storia, da Turati all’eurocomunismo. Un gradualismo di riforme che progressivamente espandano al massimo la democrazia e i diritti umani, sostituendo il vecchio modello liberale con un nuovo motto: “la mia auto-realizzazione finisce dove inizia quella altrui.” Nessuno deve avere tanto potere da assoggettare alla propria volontà il prossimo. Insomma, come diceva Gaber, siamo diventati tutti liberali, liberisti, libertari e libertini. Ci basterebbe essere semplicemente libertisti: impegnati quotidianamente per costruire una società in cui la libertà non sia solo una parola di cui chiunque possa abusare, ma una realtà che tutti possano abbracciare. Questa volta per davvero, però.
Ma lettere dal carcere di Gramsci? Non Berlinguer…
Enrico Berlinguer fece 100 giorni di carcere per i moti del pane. Scriveva delle lettere ai familiari, rese pubbliche per la prima volta nel documentario di Veltroni e poi pubblicate integralmente nel libro sul documentario (Quando c’era Berlinguer).
Devo ancora vedere il film. Mi rattrista che il regista sia Veltroni. Uno che ha rinnegato il proprio passato.
Paolo Zuccarino, io ho visto il film di Veltroni, condivido il suo commento , ma a me rattista che Veltrono nel film ci abbia messo anche una intervista a Giorgio Napolitano, il quale ” piange” per Enrico Berlinguer , e se non mi sbaglio dice che lui ad Enrico era molto vicino , quando lui nel P. C. faceva parte della corrente dei miglioristi , ma è ovvio che Veltroni lo abbia messo nel suo film…………..!!!! ( mi scuso per aver scritto male rattrista e Veltroni )
Si ma qualora il film lo avesse girato Rossana Rossanda, ad esempio, io avrei fatto un’altro tipo di osservazione.
COERENZA.
Anche con le rivoluzioni popolari alla fine il popolo rimane..”nudo”….i predatori non muoiono MAI.
Veltroni che parla di Berlinguer: dicono che di dignità in giro c’è né poca; ma in questo caso si esagera alla grande (e sto usando un eufemismo).