#Lager e #Gulag, parla Primo #Levi

Nell’appendice dell’edizione di Se questo è un uomo del 1976, Primo Levi risponde alle domande che di solito gli venivano rivolte dagli studenti durante gli incontri promossi per ricordare la tragicità dello sterminio e della Shoah. Rispendendo a una di queste domande, lo scrittore propone un dettagliato confronto tra i lager nazisti e i gulag sovietici, sottolineando le innegabili differenze tra i due sistemi, differenze che oggi vengono negate da molti con lo scopo di equiparare la crudeltà del nazismo a quella del comunismo sovietico, promuovendo una sorta di cancellazione “storica” delle diversità e delle peculiarità.

Primo Levi, che, come tutti sappiamo, ha vissuto sulla sua pelle l’orribile esperienza della prigionia nei campi di concentramento, ha sempre dichiarato che i lager nazisti sono stati l’apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa. Affrontando il paragone con i lager russi, Levi scrive: “i lager tedeschi costituiscono qualcosa di unico nella pur sanguinosa storia dell’umanità: all’antico scopo di eliminare o di terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture”.

Queste prese di posizioni vengono ribadite da Levi anche nelle interviste che l’autore rilasciò ai più importanti giornali italiani. Ad esempio, in un articolo del gennaio 1987 comparso sulla Stampa, egli dichiarò: “Il Gulag fu prima di Auschwitz è vero; ma non si può dimenticare che gli scopi dei due inferni non erano gli stessi. Il primo era un massacro fra uguali; non si basava su un primato razziale, non divideva l’umanità in superuomini e sottouomini: il secondo si fondava su un’ideologia impregnata di razzismo. Se avesse prevalso, ci troveremmo oggi in un mondo spaccato in due, ‘noi’ i signori da una parte, tutti gli altri al loro servizio o sterminati perché razzialmente inferiori. Particolari esemplari di questo disprezzo sono il tatuaggio e l’uso nelle camere a gas del veleno originariamente prodotto per disinfettare le stive invase dai topi“. E ancora: “L’empio sfruttamento dei cadaveri, e delle loro ceneri, resta appannaggio unico della Germania hitleriana, e a tutt’oggi, a dispetto di chi vuole sfumarne i contorni, ne costituisce l’emblema.”

È bene sottolineare che Primo Levi non vuole assolutamente negare la crudeltà dei gulag sovietici, che egli stesso descrive come degli “inferni”, tuttavia egli non può, proprio per fedeltà alla verità storica, considerare i due sistemi uguali o simili. Proprio in relazione all’opera di Solzenicyn, Arcipelago Gulag del 1973, egli scrisse: “Neppure dalle pagine di Solzenicyn, frementi di ben giustificato furore, trapela niente di simile a Treblinka ed a Chelmno, che non fornivano lavoro, che non erano campi di concentramento, ma ‘buchi neri’ destinati a uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere ebrei, in cui si scendeva dai treni solo per entrare nelle camere a gas e da cui nessuno è uscito vivo.” E ancora: “Le crudeltà dei lager nazisti non erano una imitazione ‘asiatica’ o russa, come taluni storici sostenevano, erano europee in quanto il gas veniva prodotto da illustri fabbriche tedesche; e a fabbriche tedesche andavano i capelli delle donne massacrate; e alle banche tedesche l’oro dei denti estratti dai cadaveri. Tutto questo è specificamente tedesco, e nessun tedesco lo dovrebbe dimenticare; né dovrebbe dimenticare che nella Germania nazista, e solo in quella, sono stati condotti ad una morte atroce anche i bambini e i moribondi, in nome di un radicalismo astratto e feroce che non ha uguali nei tempi moderni. Se la Germania d’oggi tiene il posto che le spetta fra le nazioni europee, non può e non deve sbiancare il suo passato.

Ora si può essere o non essere d’accordo con Primo Levi (ad esempio lo scrittore e saggista polacco Gustav Herling, pur ammirando molto Primo Levi, prese le distanze dalle posizioni dello scrittore italiano, sicuramente anche a causa della sua detenzione in un gulag sovietico, affermando che lager e gulag sono la stessa cosa), ma è indubitabile che esista una differenza storica tra l’uccidere per la razza e l’imprigionamento per posizioni politiche. Come ci ricorda Cesare Segre, in un articolo sul Corriere della Sera, “nel Lager come nel Gulag la fame, le sofferenze, i maltrattamenti portarono a morte gran parte degli internati, ma un certo numero sopravvisse per anni, o, nel caso dei Gulag, fu persino rimesso in libertà. Per gli ebrei deportati, la sorte era definita in partenza: eliminazione. Milioni di vecchi, bambini, persone non efficienti furono soppressi immediatamente, al loro arrivo. Se, parlando dei Lager, si cita per lo più Auschwitz, è perché li’ l’ annientamento degli ebrei era praticato nella scala più ampia. Solo le persone valide e con qualche specifica abilità vennero temporaneamente risparmiate per sfruttarle come schiavi. Stavano nelle loro file le poche centinaia che sarebbero sopravvissute. Ciò che distingue il Lager dal Gulag è questa non piccola differenza: che per molti deportati (gli ebrei, gli zingari ecc.) il Lager annienta subito, sistematicamente, direi freddamente. Per i politici, il Lager è comparabile al Gulag; in entrambi, la morte dei deportati è un risultato possibile, persino in molti casi auspicato dai capi. Ma l’ annientamento programmatico è una triste esclusiva dei campi tedeschi. In altre parole, tanto i Lager quanto i Gulag erano destinati a persone considerate, per motivi contorti e capziosi, spesso per sospetti assolutamente indimostrabili, dei nemici del rispettivo regime. Ma quello che caratterizza il Lager è di considerare nemiche genti intere, e di distruggerle.

In altre parole, uccidere per la razza significa non aver scampo, poiché chi era ebreo non poteva fingersi di un’altra nazionalità e aver salva la vita, mentre molti in Unione Sovietica potevano sfuggire ai gulag magari dichiarandosi simpatizzanti delle posizioni comuniste. Una differenza che storicamente assume una valenza non indifferente. Detto questo, rimane la ferma, dura e indubitabile condanna per tutti quei sistemi di ogni colore politico che sono finalizzati all’imprigionamento o all’eliminazione dell’avversario.

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