Il reato di #negazionismo è un errore

Dove finisce la libertà di espressione? Nella pratica finisce, purtroppo, dove il potere politico o delle armi decide che finisca. Difendere la libertà di espressione è un compito difficile, perché significa difendere anche l’esistenza di quelle opinioni che ci fanno male e ci offendono. Il che, sia chiaro, non significa rinunciare a replicare e difendersi.

Parlare di libertà di espressione significa, io credo, fare un distinguo fondamentale. Ci siamo noi, popolino che parla, offende, critica e solidarizza, e ci sono loro, quelli che possiedono le armi, la finanza, i palazzi e le prigioni.

Nel 2007 Clemente Mastella propose l’introduzione in Italia del reato di negazionismo, già presente in alcuni Paesi come la Germania e la Francia. Allora non se ne fece nulla, ma a quasi otto anni di distanza il Senato ha dato il via libera a un ddl molto simile, in cui il negazionismo costituisce però un’aggravante e non un reato a sé stante. Negare l’esistenza di crimini che tanto orrore hanno portato alla storia e alla coscienza dei popoli, è certamente spregevole, ma farne un reato è un’insopportabile restrizione alla libertà, uno sbilanciamento pericoloso di poteri, in cui la politica e i tribunali creano verità di Stato: se oggi si rischiasse di andare in galera per aver negato i crimini del nazismo contro gli ebrei, domani si potrebbe finire in galera per tutt’altra opinione.

Se il pericolo del reato d’opinione è momentaneamente scongiurato, rimane però figlio di un’idea scellerata. Il negazionismo viene da una prassi piuttosto comune nell’ambito della ricerca, ovvero il riesame dei fatti alla luce di nuove evidenze: il revisionismo storico. Separare negazionismo e revisionismo è sicuramente facile per eventi lontani, è molto più ostico per i fatti a noi più vicini, sia per questioni temporali che di sensibilità personale. Un tribunale è davvero lo strumento più adatto a dire senza se e senza ma cosa sia pratica revisionista e cosa sia negazionismo? Gli storici temono di no.

Se sia questo il prezzo da pagare per una società meno razzista è ancora più dubbio. Chi ha già una legislatura punitiva nei confronti del negazionismo (la Germania ad esempio) non ha eliminato i movimenti neonazisti e antisemiti. Oltre al fatto che non è possibile punire un’ideologia in sé (si veda la legge Scelba e Mancino poi e la correzione in corsa dello stesso ddl), creare il reato di negazionismo significa creare un movimento clandestino che fa più proseliti di quanti ne farebbe in un contesto legale. David Irving ha passato tre anni in una prigione austriaca e ha avuto molte altre controversie legali in Europa e negli Stati Uniti. Lo scrittore britannico è forse oggi il più noto negazionista dell’Olocausto al mondo e molto del suo successo deriva certamente dal clamore suscitato dai procedimenti giudiziari a suo carico. Una legge che probisce, vieta e imprigiona, crea inevitabilmente degli eroi e gli eroi hanno sempre un seguito. Se David Irving non passasse da perseguitato, l’opinione pubblica forse lo vedrebbe per quel che è, un uomo patetico e uno storico a dir poco mediocre.

Il ddl passato al Senato, inoltre, non è una legge relativa esclusivamente all’Olocausto ebraico. Si parla di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidi. La definizione di tali crimini dipende dai trattai internazionali, come la Convenzione di Ginevra. Oltre al fatto che molti di questi trattati non sono universalmente riconosciuti, la critica che si fa spesso a questo tipo di giudizi è che il criminale è inevitabilmente chi la guerra la perde. Già ai tempi del processo di Norimberga, infatti, furono sollevati molti dubbi sull’imparzialità dello stesso. Il bombardamento di Dresda da parte degli Alleati (senza contare le due atomiche su Hiroshima e Nagasaki) potrebbe essere ragionevolmente visto come un crimine di guerra. Ma nessuno fu perseguito. Lo storico Donald Bloxham (editor del Journal of Holocaust Education) asserisce che termini come “criminale di guerra” e “terrorista” hanno una caratterizzazione morale più che legale. In un terreno così insidioso come il diritto internazionale, come può lo Stato italiano riuscire a condannare con certezza l’apologia dei crimini di guerra e contro l’umanità?

Pur nella sua forma soft il ddl contro il negazionismo nasconde una grossa debolezza del potere statale. Da una parte rende evidente la sua totale sfiducia nei confronti di chi produce cultura e del popolo che ne fa uso. Dall’altra mette in risalto un difetto molto italiano, che è quello di produrre più leggi di quante siano effettivamente necessarie. Nel caso specifico sono molto curiosa di vedere come l’aggravante di un’aggravante (l’odio razziale con apologia di un fatto storico che incita alla violenza) si tradurrà positivamente nella società, perché per ora quello che è uscito dal Senato è un pasticcio ideologico cui si è messa una pezza al fotofinish.