Rosa #Luxemburg e gli Stati Uniti d’Europa

Si avverte sempre più nelle alte sfere del potere politico ed economico europeo la necessità, stringente, a una maggiore unità fra gli Stati membri dell’Unione Europea. Non una coabitazione fra realtà che permangono diverse, ma un abbattimento di muri profondi e barriere un tempo insormontabili fra i componenti dell’Unione Europea. Tale sentimento, che negli immediati anni seguenti la fine del conflitto bellico era portato avanti con fierezza da molti pensatori e uomini politici di una Sinistra di certo più vera di quella che vediamo oggi – abbruttita e svilita dall’estasi per il neoliberismo e la terza via –, è oggi stato adottato da un centro europeo cui convergono sia le forze socialiste, sia popolari, sia liberali è che trovano nell’ex primo ministro belga Verhofstadt un rappresentante di valore: basti ricordare che il candidato dell’ALDE (in Italia rappresentato da “Scelta Europea”, cartello elettorale comprendente i montiani, Fare per fermare il declino e Centro Democratico) alla presidenza della Commissione ha vinto l’Europe Book Prize 2007 con un saggio del 2005 intitolato, per l’appunto, Stati Uniti d’Europa.

Certo è che Verhofstadt si trovava a scrivere in tempi in cui l’opinione pubblica europea era più favorevole verso l’Unione, non funestata dai venti della crisi economica globale e dai conflitti accesi che circondano il Vecchio Continente. Il quadro, insomma, è cambiato. Ed è un quadro che vede un montante sentimento di scoramento fra i cittadini e l’istituzione europea, sentita lontanadagli agiati e consapevoli elettori del Nord Europa, vista come una matrigna implacabile dagli impoveriti cittadini del Sud. Nella ripresa, feroce, dei fenomeni di estremismo nero-verde sparsi per l’Europa – da Farage in Gran Bretagna, all’asse Salvini-Le Pen, a Fidetz in Ungheria, sino agli Svedesi Democratici – il sentimento europeo nella Sinistra è andato comunque affievolendosi, preferendo imboccare la strada legitissima dell’euroriformismo piuttosto che quella del criticismo duro e puro che rintracciamo nella destra: soltanto qualche movimento di sinistra o estrema sinistra si allontana dalla visione di una federazione di Stati europei del tutto simile a quella americana.

Una prima radice di eurocriticismo a sinistra è rintracciabile nella profonda e precisa analisi che Rosa Luxeburg compì nel maggio 1911 su Leipziger Volkszeitung in un articolo intitolato ‘Utopie pacifiste’. Luxemburg, pensatrice attenta e molto critica nei confronti del bolscevismo e della società capitalista e borghese del suo tempo, getta lo sguardo lontano utilizzando parole a noi assai familiari come “europeismo”, un sentimento che, a detta di Luxemburg, è soltanto il prodotto della società capitalistica che utilizzerebbe l’unità degli Stati-nazione europei contro “il pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”. «In poche parole – dice ‘la Rosa rossa’ – l’europeismo è un aborto dell’imperialismo. Parole attualissime se si pensa che oggi i più ferventi antieuropeisti si trovano proprio fra le file di chi combatte i migranti e i diversi. Ma l’analisi di Luxemburg si spinge a considerare gli Stati Uniti d’Europa come inutili allo stesso evolversi capitalistico della storia, innanzitutto perché l’unione degli Stati europei non converrebbe a essi nel dipanarsi dei concorrenziali antagonismi che li frappongono e perché tale unità incentiverebbe quella di realtà extraeuropee, asservite ai bisogni dell’Europa. È, secondo la pensatrice tedesca, un’utopia irrealizzabile quella prospettata da Kautsky di «una politica commerciale comune, un governo e un esercito confederali.» che non porterebbe di certo alla pace perpetua tanto sperata da Luxemburg. Da parte dei socialisti criticati da Rosa Luxemburg vi è di certo il desiderio di frapporre all’egemonia statunitense che si stava consolidando quella dell’Europa unita, forte e coesa, come potenza economica realizzabile «anche prima che giunga il tempo del Socialismo» secondo Ledebour.

Di lì a poco sarebbe scoppiato il primo conflitto mondiale, che rappresenta una cesura irrimediabile con il passato e, alla fine di esso, assistiamo all’assassinio da parte dei socialdemocratici al governo in Germania di Rosa Luxemburg che, ad appena quarantott’anni, smette di dare il suo contributo – a mio giudizio fondamentale – al pensiero socialista mondiale.

Oggi la ripresa critica del pensiero sugli Stati Uniti d’Europa di Luxemburg ci appare anacronistico e fuori fase rispetto a una Sinistra che ha abbracciato giustamente l’ideale di una unica casa dei popoli d’Europa, come la disegnava appassionatamente Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, un luogo sicuro dove rifugiarsi per i secoli a venire dalle guerre che nella prima metà del ‘900 ci sconvolsero. Sono passati appena settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e già sferzano sulle nostre teste i venti contrari al processo unitario europeo. Non i venti critici del pensiero di Rosa Luxemburg, che previde sempre nello stesso articolo lo scoppio di conflitti che poi, effettivamente, si realizzarono sotto la spinta dell’imperialismo ma quelli del ritorno all’individualismo, alla ricostruzione delle vecchie barriere fra persone che ci costringevano nella chiusa finitezza dei nostri Stati-nazione. E il rischio che torni forte il concetto di Nazione-divinità nell’era della tecnologia pervasiva e assoluta proprio nel mentre della più grande crisi del sistema capitalistico non va sottovalutato e anzi combattuto con estrema forza poiché, citando Spinelli «La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo “spazio vitale” territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi»

E l’unico modo per fronteggiare queste derive è proclamare con forza ma con la dovuta criticità, l’unità politica e sociale – prima ancora che economica e fiscale – degli Stati Europei.