Riflessioni sulla pena di morte

Questo articolo ha lo stesso titolo di un saggio di Albert Camus. E, proprio come fa Camus in tale saggio, voglio chiarire subito la mia posizione. Io sono contro la pena di morte. Perché la ritengo una pratica degradante e crudele. Perché la ritengo disumana.

Possiamo partire dalle motivazioni più ovvie che mi spingono a questa presa di posizione. In primis, la possibilità di condannare a morte un innocente. Per un errore giudiziario, per false testimonianze. La pena di morte è, inoltre, uno strumento di discriminazione e repressione. Discriminazione nei confronti di minoranze e di persone svantaggiate che non hanno la possibilità economica per disporre di una difesa legale adeguata. Repressione, come strumento nelle mani di regimi totalitari.

Ma l’aspetto che mi preme sottolineare è che la pena di morte si è dimostrata inutile in quello che sarebbe dovuto essere il suo compito principale. Rappresentare un deterrente per i crimini. Non bisogna mai dimenticare il valore dell’esempio. Che esempio dà una società che uccide freddamente? La risposta è presto detta: è dimostrato che il numero di omicidi è maggiore nei Paesi che adottano la pena di morte, e che, addirittura, tale numero aumenti nei periodi immediatamente successivi alle esecuzioni. L’adozione della pena di morte rende evidente l’incapacità dell’uomo nel ridurre la natura umana a una semplicità, a un ordine che non ha.

Qui è la principale contraddizione della pena capitale. Faccio davvero fatica a comprendere la logica secondo cui una società che detesta e punisce l’omicidio, ne commetta uno a sua volta. Freddamente. Forse è qui che c’è l’aspetto più disumano. Negare il diritto alla vita. Davvero credete di essere più umani di un assassino, togliendo la vita a sangue freddo? Arrogandovi il diritto di giudicare al di sopra di un altro uomo? Personalmente faccio fatica ad arrogare questo diritto anche a Dio, Allah o Buddha. Sarà che sono cresciuto con le canzoni di De Andrè, ma sono davvero convinto dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti al male. O, per dirla con parole sue, che “ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore”.

“Quanti innocenti all’orrenda agonia votaste, decidendone la sorte, e quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte?”

1 commento su “Riflessioni sulla pena di morte”

  1. A strange fruit, a bitter harvest.
    Reflections on hangings.

    Uno strano frutto, un amaro raccolto.
    Riflessioni sulla pena di morte.

    Redatto il 10.10.10 da Alessia Bruni, Cristiana Bruni, Claudia Caroli e Claudio Giusti.
    Rivisto in occasione dell’anniversario della seconda abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana, il 30 Aprile 1859.

    La pena capitale è come la schiavitù: nessuno ha il diritto d’imporla.

    La pena di morte è una violazione dei diritti all’eguaglianza, alla vita e alla libertà dalla tortura. Un territorio dai confini vaghi e incerti che cambiano nel tempo e nello spazio, dove arbitrio e capriccio la fanno da padroni. Privilegio dei poveri è una punizione irreversibile che uccide pazzi e innocenti. Non è deterrente né legittima difesa, non è di conforto alle vittime e brutalizzando la società ne accresce la violenza. La pena di morte è un assassinio rituale, una parodia di giustizia, null’altro che l’imposizione di dolore e sofferenza.
    Una immorale, indecente, crudele, razzista e classista violazione dei diritti umani.

    Capital Punishment is like slavery: nobody has the right to impose it.
    Death penalty is a clear violation of human rights: right to equality, right to life and freedom from torture.
    It is an “arbitrary and capricious” black hole in the Law: a land with unclear and inconsistently drawn borders, changing in time and space.
    It is a “privilege” of the poor, because “capital punishment means that those without the capital get the punishment”.
    It is an irreversible punishment and kills the insane and the innocent.
    It is not self-defense, but revenge.
    It is not a more effective deterrent than prison and makes worst the evil it pretends to cure, because death penalty brutalizes and makes society more violent.
    Death penalty is a human sacrifice, a ritualistic slaughter carried out in cold blood by the State. It is a travesty of justice and “nothing more than the purposeless and needless imposition of pain and suffering”.
    Sooner or later everybody will realize that capital punishment is an immoral, cruel, racist, inconsistent, not working violation of human rights: “the pointless and needless extinction of life”

    1
    La pena capitale è una violazione dei principi di uguaglianza e libertà sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Viola il diritto alla vita e l’immunità dalla tortura e da ogni altra punizione crudele, inumana o degradante. Il rispetto di questi diritti è un chiaro obbligo per tutti i paesi del mondo e non v’è situazione in cui possano essere ignorati. Codesti diritti non dipendono dalla bontà d’animo dei governanti o dai capricci di una maggioranza: sono diritti di cui tutti devono godere in ogni momento e in qualsiasi luogo: qualcosa che appartiene a ciascun essere umano semplicemente perché egli è tale.

    2
    Nessuno può essere privato del diritto ad avere diritti. La pena di morte, come la schiavitù e la segregazione razziale, viola il diritto all’uguaglianza perché crea un’artificiale categoria di persone cui questo diritto è negato ancor prima di quello alla vita.
    Una violazione dei diritti umani non può essere amministrata equamente e la pena di morte si accanisce sui deboli e gli indifesi; uccide gli innocenti, i poveri, i pazzi e gli appartenenti alle minoranze. La sua attesa è una tortura che può durare decenni.
    Non esistono pene sostitutive a quella capitale, come non ve ne sono per la tortura, perché le violazioni dei diritti umani non hanno alternative che non siano la loro scomparsa.

    3
    Lo stato non gode del potere di vita e di morte e la pena di morte è una sua guerra contro l’individuo: un sacrificio umano, un omicidio rituale perpetrato in nome di tutti per rassicurare le paure di alcuni e rafforzare il potere di pochi. Solo gli individui possono, singolarmente o collettivamente, utilizzare la violenza in caso di estrema necessità per rispondere, in modo proporzionato, a una minaccia concreta e attuale ed esclusivamente per salvare vite.
    Il sistema giudiziario non si trova mai in questa situazione.

    4
    Che sia il prodotto della giustizia del re o del democratico linciaggio, il patibolo non permette esitazioni. Il suo rifiuto non si può limitare a un’accorta selezione dei casi e non consente la scappatoia del bene comune. Al suo cospetto non possiamo restare neutrali.

    5
    L’imposizione della pena capitale è arbitraria come il lancio di una moneta e risente dei pregiudizi della società che la applica, delle necessità del potere, dello status sociale della vittima e dell’assassino; arrivando all’assurdo della differente applicazione da un aula giudiziaria all’altra. Non esiste legame coerente fra il delitto commesso e la pena che si va a scontare. Per delitti simili alcuni sono uccisi mentre altri se la cavano con poco o nulla. Più che amore verso la vittima si mostra un odio molto selettivo nei confronti dell’assassino.
    Forse Abele è sempre Abele, ma certamente Caino non è sempre Caino

    6
    Due secoli di abolizionismo hanno dimostrato che la pena di morte è priva di qualsiasi utilità e giustificazione. Non è un deterrente e brutalizza la società nel suo insieme. Non è di sollievo alle vittime e produce altro dolore. La storia mostra come non sia possibile tracciare quella sottile linea che divida i delitti passibili di pena di morte da quelli che non lo sono e il concetto di chi “merita di morire” cambia nel tempo e nello spazio. La libera espressione del pensiero, anche religioso, è stata ed è attività estremamente pericolosa.

    7
    L’incarcerazione dell’innocente è un dramma comune a ogni sistema giudiziario, ma il solo sospetto di averlo ucciso è ragione più che sufficiente per giustificare l’abolizionismo. La moratoria delle esecuzioni è un palliativo: significa consegnare i condannati a una schiavitù, in cui la vita non è più un diritto ma una concessione del potere. Le condizioni del braccio della morte sono sovente letali e l’ergastolo, se non illuminato da una speranza di libertà, diventa una ghigliottina secca.

    8
    Non v’è dubbio che la pena capitale abbia antiche radici, ma il fatto che sia stata, come la schiavitù, a lungo accettata e giustificata non vuol dire che lo si debba fare anche oggi. La sua abolizione è l’ammissione dell’umana fragilità e fallibilità, ma da sola non significa necessariamente rispettare completamente i diritti umani. L’abolizione è il riconoscimento della dignità inerente ad ogni essere umano, dei sui diritti eguali e inalienabili e l’applicazione della giustizia nel suo significato più alto.
    La scomparsa della pena capitale è garanzia di libertà, uguaglianza e umanità per tutti.

I commenti sono chiusi.