Quando per #Renzi l’astensionismo era un problema

Sin dalle prime indiscrezioni i risultati delle regionali in Emilia Romagna e in Calabria sono stati chiari. Vittoria dei candidati espressi dalle coalizioni di centrosinistra, ma ancor di più, vittoria dell’astensionismo. A votare in Calabria sono andati il 43,8 % degli aventi diritto, contro il 59% delle scorse elezioni. In Emilia Romagna è andata anche peggio, l’affluenza si è fermata a 37,7% a fronte del 68,1% del 2010. Eppure in casa PD si è parlato con entusiasmo di vittoria. Queste le affermazioni di Matteo Renzi: “La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare ma che è secondario. Checché se ne dica oggi non tutti hanno perso”. Parole pesanti, soprattutto per chi nel 2012 aveva commentato così il risultato di Crocetta alle regionali in Sicilia: “Le elezioni le ha vinte l’astensionismo, maggioranza assoluta di persone che non vanno a votare”. [youtube http://www.youtube.com/watch?v=e4hZ4YGpqWs]

Però è vero, i due candidati del centrosinistra sono stati eletti alla guida delle due regioni. Bonaccini e Oliverio sono a tutti gli effetti i nuovi presidenti di Emilia Romagna e Calabria. Ma si può davvero parlare di vittoria?

Prendiamo l’Emilia Romagna. Da sempre una delle “regioni rosse”. Buttando un occhio al passato ci rendiamo conto di come sia sempre stata governata dalla sinistra. Dal 1970, anno delle prime elezioni regionali in Italia, si sono sempre succedute al governo della regione maggioranze di sinistra. Prima con il Partito Comunista, poi con il PDS, con i DS e infine con il PD precedente alla rottamazione. Quindi la vittoria del centrosinistra non rappresenta poi un risultato così esaltante. Diciamo piuttosto che riuscire a perdere, dove nessuna forza di sinistra era mai riuscita, sarebbe stato un insuccesso storico.

Guardiamo poi i dati. Dal 2010 il Pd ha perso tra Emilia Romagna e Calabria 769.000 voti. Anche se Bonaccini e Oliverio hanno ottenuto un largo vantaggio sui concorrenti, il PD ha avuto rispettivamente un netto calo e una lieve crescita tra gli elettori. In Calabria ad esempio sui 489.558 voti raccolti dalla coalizione di Oliverio, solo 185.097 sono andati al Partito Democratico. Oltre 97.202 voti provengono dalla lista “Oliverio Presidente”, gli altri da ulteriori e frazionate realtà della sinistra (tra cui SEL che ha raccolto un 4,36%).

Nel 2010 il democratici avevano ottenuto 162.081, ma il candidato espresso, Agazio Loiero, non era stato eletto e il governo della regione era andato alla destra.Notiamo quindi come il PD abbia ottenuto in realtà poche migliaia di voti in più rispetto al 2010, ma grazie al calo della destra e al vasto astensionismo si sia accaparrato comunque il governo della regione. Un risultato non esaltante dunque.

Il discorso in Emilia Romagna invece è ben diverso. Nella regione rossa per eccellenza il Partito Democratico ha ottenuto 535.109 voti, sui 615.723 ottenuti dalla coalizione. Questo è il peggior risultato della sinistra in Emilia Romagna nella storia d’Italia. Sia per quanto riguarda il partito, sia per quanto riguarda la coalizione (che ai tempi della prima repubblica non esisteva, correndo sempre il PCI da solo). Mai nessun candidato presidente della regione espresso dalla sinistra (come abbiamo già detto, sempre vincente) era andato sotto il milione di voti. Bonaccini può quindi passare, per ora, alla storia come il presidente eletto con il consenso più basso.

Un bel colpo per la “nuova vocazione maggioritaria” che Renzi vuole conferire al suo partito. Da tempo ormai il premier accusava con costanza la vecchia struttura della sinistra di essere perdente, di essere destinata a rimanere relegata in un basso consenso. E’ stato ripagato con il minor elettorato della storia. Ma guardiamo anche le percentuali. La coalizione di Bonaccini ha ottenuto il 49,05 % dei voti, con il 37,7% dei votanti. Quindi l’Emilia Romagna si trova ora governata da un presidente eletto dal 18,49 degli aventi diritto al voto. Nemmeno un emiliano o un romagnolo su cinque è andato a votare Stefano Bonaccini. La situazione del partito è analoga. Il PD ha preso il 44,52%. Poco più di un italiano su sei è andato a votare Partito Democratico. In Calabria la situazione del partito è altrettanto preoccupante. Il PD ha preso il 23,68%, con il 43,8 % dei votanti. In sostanza il 10,37% degli aventi diritto. Solo un calabrese su dieci è andato a votare Partito Democratico.

Certamente Renzi paga la sfiducia nella politica e il conseguente astensionismo. Ma va anche detto che ora il partito al governo è il suo. La sfiducia sulle possibilità di cambiamento è una responsabilità del suo progetto politico. Il Partito Democratico non vince perché crea larghi consensi, come il suo segretario afferma. Vince perché riesce a non essere peggio degli altri. E quando l’alternativa è Salvini, non lo considererei un risultato esaltante.