Chi se ne frega dell’#ambiente

L’ambientalismo è una di quelle cose che fa arrabbiare un sacco di gente, specialmente a destra. Specialmente quelli che si definiscono liberisti, i quali predicano bene e spesso razzolano malissimo. Quelli che vorrebbero il libero mercato sempre e comunque, ma quando questo rischia di mettere loro stessi in una posizione svantaggiata, diventano tutti conservatori. Loro, i liberisti, sono in fondo quelli che sì il libero mercato ma come piace a me.

L’ambientalismo li fa arrabbiare perché la scienza, cui loro si appellano spesso a sproposito per dimostrare quanto gli altri siano ingenui, dà loro torto. Sono rarissimi gli scienziati che ad esempio negano la responsabilità degli esseri umani nel riscaldamento globale, eppure chi ha interessi politici a vario titolo continua a negare, magari accusando gli altri di essere dei lobbisti o degli agenti del KGB (ebbene sì…). D’altronde additare gli altri di essere comunisti è sempre una carta vincente: chiamalo scemo uno come Berlusconi!

In questo scontro politico la scienza vera e propria temo abbia uno spazio davvero esiguo. Non so se sia una carenza di comunicazione da parte della comunità scientifica e dei media, come pare sia avvenuto negli Stati Uniti, so però che si è trasformato tutto in una nuova forma di conflitto tra due visioni opposte della libertà.

Io penso che la libertà sia in sé un concetto piuttosto semplice. Per me, infatti, significa banalmente fare e pensare quello che si vuole. Il difficile, casomai, sta nel capire cosa si vuole davvero. A volte ci sembra di volere delle cose che poi in realtà non ci piacciono o non usiamo creando però un danno enorme ad altri esseri umani, oppure pretendiamo delle cose perché ne abbiamo una conoscenza insufficiente: se fossimo più informati, educati o istruiti ciò che vogliamo potrebbe cambiare radicalmente. Ad esempio a me piace molto il pesce e in generale tutto ciò che il mare offre di commestibile – da una sardo-veneziana non ci si può aspettare niente di diverso – So anche però che il pesce è una risorsa rinnovabile se e solo se è gestita in modo efficiente. Così mi trovo davanti a un grande dilemma, devo decidere se fare finta di non sapere nulla dell’emergenza in cui versano mari e oceani e mangiare pesce finché ne ho voglia, oppure pensare nel lungo termine: quando sarò anziana credo mi piacerà ancora mangiare pesce e potrebbe piacere ai miei nipoti – saranno un po’ sardo-veneziani pure loro, no? – i quali, avendone a disposizione, non proveranno rancore verso la mia generazione, facendomi sentire più serena. Io penso che la seconda scelta sia quella che a conti fatti mi rende più libera.

Sul consumo di carne si è scritto tantissimo, eppure qualsiasi invito alla moderazione viene visto come un attacco alla libertà personale. E mi sorprende ancora di più quando questa levata di scudi si fa in Italia: possibile che in una delle aree in cui è nata la dieta mediterranea non possiamo rinunciare per un giorno a settimana alla carne? E questo non ci fa riflettere nemmeno un po’ su come il sistema globale ci abbia cambiato, anche nelle nostre abitudini più intime? Io penso che se avessi scelto di consumare carne tutti i giorni, conoscendone i rischi per me e per l’ambiente, avrei fatto una scelta molto meno libera di quella che ho fatto, avrei scelto di perseguire un futuro cupo per me e per gli altri.

Non voglio parlare qui della vicenda dell’orsa Daniza, se n’è scritto fin troppo e raramente con competenza. Ma nel marasma di notizie più o meno farlocche e opinioni non richieste, è riemerso, anche se un po’ in sordina, un principio, messo nero su bianco dal legislatore diversi anni fa:

La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale.
1-bis. Lo Stato e le regioni si adoperano per mantenere o adeguare la popolazione della fauna selvatica a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto anche delle esigenze economiche, nonché ad evitare, nell’adottare i provvedimenti di  competenza, il deterioramento della situazione attuale.

Prima non era così. Prima si pensava che essere liberi significasse disporre delle cose e degli animali come si voleva, fregandosene del fatto che non tutti ne potessero disporre allo stesso modo. Ma questo, io penso, si chiama in un altro modo: disuguglianza, legge del più forte, dittatura della maggioranza, ecc… Oggi riconosciamo che, al contrario, la libertà sta nella tutela dei beni comuni, che è nell’interesse di tutti, incluse le generazioni future. Io trovo che il concetto dei beni indisponibili sia uno dei valori più libertari cui siamo arrivati.

Me ne frego è il noto moto d’annunziano adottato poi dalle squadracce fasciste. Mi è stato rimproverato di essere come i vecchi bacucchi komunisti che citano sempre il fascismo per non perdere in credibilità. In realtà lo cito perché lo trovo un periodo storico non marginale che ci ha lasciato in eredità una montagna di errori che potremmo decidere di non ripetere e che invece continuiamo a fare.

Il me ne frego è la libertà effimera che nasce e si consuma da secoli per una ristretta cerchia di persone. Io penso che il mi interesso si meriti finalmente un’occasione.