#Meritocrazia a #scuola: tutti ne parlano, nessuno sa cos’è

Nel 1958 nacque ufficialmente il termine meritocrazia, ad indicare una forma di governo in cui tutte le cariche pubbliche e amministrative sono elargite in base al solo merito. Nel libro in cui Michael Young raccontò la società distopica della meritocrazia non vissero tutti felici e contenti, anzi, una rivolta popolare finisce col rovesciare l’élite di governo. Ma la meritocrazia, pur con nomi differenti, ha avuto anche una storia precedente agli anni ’60, si pensi a Napoleone (la carrière ouverte aux talents) o ai trattati di John Locke. Roger Abravanel, certamente un numero uno del merito, varò con l’ex Ministro Gelmini il “Piano nazionale per la qualità e il merito”. Dal sito da lui stesso curato si può consultare una specie di manifesto della meritocrazia che fa capire per bene cosa si intende oggi in Italia con questo termine.

Il tema torna prepotente ad ogni nuovo governo (quindi circa una volta l’anno) e ancora di più quando si parla di scuola, un esempio è questa lettera aperta al Ministro Giannini. Ammesso e non concesso che esista un serissimo problema di meritocrazia, che fare?

Innanzitutto la valutazione globale e sistematica delle scuole e degli insegnanti …anche se temo di non aver ancora capito cos’abbiamo fatto poi nella pratica coi risultati dei test Invalsi. Il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri ha indicato una specie di terza via complementare integrativa necessaria come se fosse antani nel suo discorso al Senato: gli insegnanti hanno bisogno di rispetto. E io che credevo avessero bisogno di uno stipendio almeno decoroso dato che il loro è tra i più bassi dell’Occidente… Eppure il suo discorso mi ha convinto, questo mese anch’io in busta paga chiederò che mi siano dati 1000 euro + 1 etto di rispetto.

Andando nel concreto i test (che hanno la loro ragion d’essere, non lo nego) dovrebbero portare a una scuola sul modello anglosassone: valutazioni nazionali, stipendi e assunzioni degli insegnanti autonome da parte di ciascun istituto, classifiche pubbliche delle scuole in modo che genitori e ragazzi possano scegliere ciò che è meglio per loro. Siete poveri? Nessun problema, ci sono le borse di studio: in un sistema come questo però, e nessuno lo dice mai, un povero deve essere davvero eccellente per accedere all’istruzione superiore o accademica, mentre un ricco può permettersi di essere mediocre e frequentare ugualmente le scuole migliori, ottenere i diplomi, le lauree e i lavori migliori.

Si è discusso e si discute anche del modello tedesco …quello in cui per non dover mandare ai figli alle scuole private ci si è inventati un sofisticato meccanismo pubblico. Per farla davvero breve in Germania funziona come da noi qualche decennio fa, quando solo dal liceo si poteva accedere ai corsi universitari. Anche qui però sorgono dei problemi. Le scuole professionali (chiamiamole così) tedesche hanno il supporto di un mercato ancora in grado di assorbire adeguatamente la forza lavoro e certo non con i salari ridicoli offerti dalle imprese italiane. Quando da noi si istituirono professioni qualificate come il geometra o la segretaria o il cameriere la situazione era molto simile, ma è radicalmente cambiata con la crisi e non tarderà a modificarsi, come già sta accadendo, anche in terra tedesca. Tornare a quel modello, oltre che un suicidio visti i numeri della disoccupazione, sarebbe uno schiaffo alla tanto acclamata flessibilità, che nel Paese della Merkel è infatti prossima allo zero. In Germania, inoltre, un individuo decide del proprio futuro all’età di 10-12 anni, in pratica è come se noi avessimo optato per fare i medici, i tecnici informatici o i piastrellisti in base alla pagella di 5° elementare. Da più parti, esterne ed interne, la Germania è stata fortemente criticata per la sua visione classista dell’educazione scolastica ed è difficile negare che sia così: nelle Realschule e Hauptschule, ad esempio, i figli di immigrati sono decisamente più numerosi che al Gymnasium e per chi proviene da una famiglia borghese è molto più facile accedere all’università.

Un’altra via potrebbe essere quella di premiare i migliori: come chi ha più difficoltà ha diritto ad essere seguito e accompagnato nel suo percorso scolastico, così quello bravo deve poter accedere ad una qualche forma di gratificazione che vada oltre il bel voto. La natura della proposta però mi pare assai fumosa. Potremmo fare in modo che gli studenti meritevoli possano seguire dei corsi extra, magari di preparazione all’università, o anche solo di svago ma a sfondo culturale. La mia opinione è che prima dovremmo cercare di capire se li vogliono, se ne hanno bisogno e se ce li possiamo permettere, non vorrei che ragionassimo da adulti del tempo libero di bambini e adolescenti. L’altra possibilità è prendere in blocco le scuole e gli alunni, valutarli (sempre che la mano invisibile del mercato non ci illumini prima), sfornare un’equazione definitiva del merito e chi è davvero bravo a scuola mandarlo all’università senza pagare o, se non gli piace l’idea, gli affidiamo una start-up con un mutuo trentennale sul groppone.

Che poi, già che dobbiamo copiare dalla Germania, non potremmo iniziare importando le tasse universitarie, che lì sono praticamente inesistenti? Così evitiamo che gli eccellenti, quelli col diploma e un buon punteggio al test d’ingresso, ma i cui genitori non sono stati graziati dalla mano invisibile del fisco, vadano ai corsi al mattino e al lavoro la sera, con tutte le immaginabili conseguenze.

Sì, fa rabbia che ci siano posizioni di potere occupate da chi ha come unico merito quello di conoscere le persone giuste, ma la risposta per me non è puntare con ogni mezzo a una classe dirigente da selezionare quando compaiono i brufoli e si incastra la gomma da masticare nell’apparecchio per i denti. Io credo invece nell’inclusione massima del popolo nella cultura e nell’istruzione. Non ho mai creduto nella scuola come mezzo di preparazione dei futuri idraulici o latinisti, ma come unico e insostituibile luogo di formazione dei cittadini.

Non credo, come sostiene Renzi, alle fabbriche nelle scuole (quali? a fare che? ma pagheranno o prenderanno manodopera gratis perché ‘sti ragazzi non ci hanno l’esperienza?), io credo al processo inverso, alle scuole nelle fabbriche, perché ci sono ancora troppe condizioni di disagio sociale che nessun buono o borsa di studio o premio o mercato è in grado di raggiungere: per quanto poco possano contare i numeri dell’ISU (Indice di Sviluppo Umano), se si vanno a guardare le disuguaglianze sociali, gli USA scivolano dal 3° al 16° posto, andando a vedere quelle di genere scendono addirittura al 42° posto. Certo, gli Stati Uniti possono vantare una classe dirigente di altissimo livello, come ad esempio l’intera famiglia Bush, o il deputato Barton che è in grado di dimostrare che il global warming non dipende da noi perché ai tempi del diluvio universale non si bruciava il petrolio, o ancora Tom Cantor, laureato in biochimica all’Università di San Diego (una delle top ten negli Stati Uniti) e fondatore di una compagnia di biotech che impiega 700 persone, proprietario di un Museo Creazionista e impegnato a suon di milioni di dollari nella promozione del concetto di ebreo cristiano.

Se l’Italia non è una nazione meritocratica la colpa è dei soliti komunisti che, con le loro idee vecchie e malate di uguaglianza sociale, mettono i bastoni tra le ruote al progresso e allo splendente futuro cui è destinato il nostro sistema-Paese. Non c’è più morale, contessa.