Il #Porcellum dimezzato

Sabato 21 dicembre prossimo, la legge 270/2005, meglio nota come il Porcellum (copyright Sartori, 2005), avrebbe compiuto 8 anni. E’ durata però solo 2904 giorni (si fa per dire), durante i quali sia quelli che l’avevano approvata e voluta sia quelli che l’avevano contrastata hanno fatto di tutto per tenersela e non modificarla.

Ieri, finalmente, la Corte Costituzionale (interpellata da un gruppo di cittadini dopo la lunga trafila prevista, anziché dal parlamento che ha una corsia privilegiata) ha sancito l’incostituzionalità delle liste bloccate, che limiterebbero l’esercizio del voto sancito dall’art.48 della Costituzione, e il premio di maggioranza alla Camera e al Senato alla coalizione più votata.

Tutti contenti, tutti a posto? Non proprio. Infatti, la Corte non ha stabilito l’incostituzionalità di tutta la legge 270/2005, bensì solo di questi suoi due elementi, il che significa che il Porcellum continua a esistere, ma con il voto di preferenza e senza premio di maggioranza (mentre rimangono le soglie di sbarramento per l’accesso al Parlamento): è quindi un proporzionale più simile a quello in vigore in Germania (dove però le liste bloccate esistono) e assai simile a quello della Prima Repubblica (senza però preferenze multiple e con le coalizioni).

E’ chiaro che una legge elettorale del genere produrrebbe ancor più disastri, sul piano della stabilità politica, di quanti non ne abbia fatti il Porcellum (progettato proprio per rendere più facili le vittorie al centrodestra che al centrosinistra, in quanto il maggior numero di senatori è assegnato alle regioni dove l’ex-pdl-lega erano più forti); non solo, con l’introduzione della preferenza, i potenti signori delle tessere e delle clientele (che fino ad oggi contavano solo dentro al partito, inquinando i congressi come è successo nel PD) ora avranno gioco facile a inquinare ancora di più il voto, condizionando la formazione delle liste.

Lasciando al Parlamento la decisione di “approvare nuove riforme elettorali”, de facto la Corte permette alle larghe intese di poter durare, in potenza, per sempre: perché anche se si accogliesse la tesi che tutte le istituzioni sono oramai delegittimate (compreso il Presidente della Repubblica eletto da 2 parlamenti votati con questa legge), il ritorno alle urne consegnerebbe uno scenario ancor più frammentato, in cui veti e contro-veti peserebbero ancora di più e allora la riforma sarebbe impossibile.

Il ritorno al precedente sistema (il Mattarellum), che pure non era perfetto e produceva gravi distorsioni, non è automatico e ci vuole un definitivo voto dell’aula, che però non arriverà mai (farlo, significherebbe mettere fine al governo Letta voluto da Napolitano). Quindi? Quindi, a ben vedere, siamo ancora più inguaiati di prima e chissà come ne usciremo.