#Italia e i politici senza #politica

Non è che stiamo scoprendo l’acqua calda. Però gli eventi di questi ultimi giorni ci dovrebbero far riflettere. E molto. Beppe Grillo e Matteo Renzi incarnano, in modi e tecniche diverse, il nuovo che avanza; il successo comunicativo; addirittura la vicinanza con la gente, o almeno questo si dice. Un nuovo alquanto particolare. Per anni la sinistra si è rifugiata dietro alla vetrina opaca della critica a Berlusconi basandosi sul concetti, sicuramente vero ma incompleto, del personalismo da evitare. Ed è certo che l’anomalia tutta italiana di un’intera area politica – il centrodestra – dominata da un unico e insostituibile personaggio non è cosa di poco conto.

Quello che in questi anni è stato sottovalutato è però lo svuotamento della politica. La dura realtà è che dal craxismo in poi qualcosa è cambiato. Si è smesso di parlare, di discutere, di dibattere di politica, di politiche pubbliche, di una visione della politica. Tutto questo è stato sostituito da una sempre più soffocante preminenza degli individui, dei politici, delle figure, degli uomini da votare, dei potenti di turno. La politica, in questi trent’anni, non ha solo perso qualità ma – e questo è ciò che più conta – la fantomatica società civile si è ormai assuefatta a questo stato di cose.

Questo mutamento genetico della politica, inutile girarci intorno, ha raggiunto nel nostro Paese livelli inimmaginabili, oggi come ieri, che in qualunque stato europeo democraticamente maturo. Gli interventi accorati e netti, a distanza di pochi giorni, di Grillo e Renzi su due temi diversi, ma tragicamente contigui come le politiche migratorie e la politica carceraria, mettono in risalto almeno tre aspetti assolutamente da non sottovalutare, comunque la si pensi su questi due specifici temi.

Un primo fattore è da riconoscere nel fatto – alquanto indicativo – che entrambi hanno oggi un’opinione radicalmente diversa – se non del tutto opposta – rispetto a quella sbandierata pochi mesi fa. Come non ricordare, ad esempio gli accorati appelli di entrambi a favore di Marco Pannella e della sua legittima protesta in favore di un’amnistia e, prima ancora, per la cancellazione del reato di immigrazione clandestina? Ci si potrebbe chiedere per quale ragione entrambi gli “uomini nuovi” della politica italiana abbiano così rapidamente cambiato idea; vero è che solo gli stolti non cambiano idea, ma forse in questo caso dovremmo capire se un simile mutamento di direzione su temi tanto importanti e delicati non sia dovuto a un qualche fattore esterno.

E si giunge quindi al secondo aspetto della questione: ognuno, ovviamente, è libero di avere le sue opinioni in merito ma un personaggio politico su cosa deve basare le sue opinioni? Questo è un punto cruciale: la politica deve proporre una visione nuova, progressiva e – per certi aspetti – utopica della realtà oppure deve appiattirsi sulle pulsioni di quella fantomatica creatura mitologica denominata “italiano medio”? La politica, cioè, deve porsi all’avanguardia del rinnovamento culturale e sociale del mondo, oppure può fare semplicemente da cinghia di trasmissione di una realtà decadente? A quanto pare la pantanosa strada intrapresa a partire dagli anni Novanta ha oggi portato la politica in una condizione di limbo esistenziale.

La politica fatta dai talk show ha prosciugato la passione e, con essa, le idee autentiche. Quale futuro può avere una politica che ha nei suoi due attori, tra i più mediaticamente esposti, un concetto di base che il “programma” o – se preferite – gli ideali debbano essere dettati dai sondaggi? Abbondano gli esempi storici in cui ciò che la “gente” credeva o voleva hanno portato a disastri immani. Al lettore di sinistra chiedo solo: se Palmiro Togliatti avesse ascoltato i “sondaggi”, ci sarebbe stata la svolta di Salerno nel 1944? Ovviamente no.

Il terzo punto che mi preme sottolineare è il radicale mutamento di prospettive e azione nel sistema politico italiano: che titolo hanno due persone fuori dal Parlamento di pontificare su atti di competenza parlamentare? La logica presidenzial-berlusconiana di un confronto da pari a pari tra un “leader” politico esterno al Parlamento e il Presidente della Repubblica è qualcosa di aberrante, oltre che di costituzionalmente inaccettabile.

A delegittimare l’autorevolezza delle Camere bastano già certi figuri che le frequentano, non servono certo omini che si autoelevino a detentori della Verità, specie se questa verità non è un pensiero sincero e basato su un ideale, ma solo una strizzatina d’occhio alla pancia del Paese, alle pulsioni più immediate e irrazionali, frutto anche di ignoranza e, spesso, di incompletezza delle informazioni date dai media. Tutti i media, anche la Rete.

E’ questo ciò che ci aspetta? Una politica fantoccio fatta da uomini che piacciono perché dicono ciò che la gente vuole sentirsi dire? Una politica che ha nello slogan efficace la propria quintessenza? Una politica che abbia il conformismo culturale e ideale come unica non-bandiera? Una politica in cui alla svendita di ogni ideale corrispondono tot migliaia di voti in più? Se così fosse, ridateci Montesquieu.