Oramai la maggior parte dei telefoni cellulari ormai sono smartphone e, in Italia, ben il 70% degli smartphone utilizzano Android come sistema operativo. Benché gli utenti che utilizzano il dispositivo come gli viene venduto siano la maggioranza (telefonare, inviare sms, giocare, navigare etc.), cresce sempre di più il numero dei cosiddetti “smanettoni”, una fascia di utenti senza una reale formazione informatica, ma decisi a ottenere il massimo dal proprio device, ovviamente invalidando la garanzia del prodotto.
Ed è tramite pochi semplici passaggi (diversi per ogni dispositivo) che l’utente medio può accedere ad un nuovo mondo, il mondo del root.
Il primo passaggio obbligato è lo sblocco del bootloader e cioè l’accesso a tutti quei processi che vengono eseguiti dal dispositivo durante la fase di avvio, prima del caricamento del sistema operativo. Questo passaggio di per se non cambia nulla, ma ci permette di svolgere operazioni più complesse sul nostro smartphone. Sbloccato il bootloader ci apprestiamo a ottenere i permessi di root (in parole povere i permessi di amministrazione che nei telefoni non ci vengono concessi di default). Anche qui la procedura varia a seconda del dispositivo, ma questa operazione dà la possibilità, tramite l’installazione di un’applicazione come “Superuser” o “superSu“, di concedere i privilegi di amministrazione a determinate applicazioni. Questo cosa comporta? Dei risultati immediati sono: la possibilità di rimuovere la pubblicità delle applicazioni, di effettuare un backup delle proprie applicazioni e dei dati e di disinstallare applicazioni di sistema inutili (ad esempio tramite “titanium backup“) e un’infinità di altre operazioni.
Fatto ciò, bisogna installare una recovery modificata (la più diffusa quella del team clockworkmod). Una recovery modificata ci permette di eseguire operazioni prima dell’avvio del sistema operativo, quindi di “flashare” pacchetti di sistema e soprattutto di sostituire interamente il sistema operativo del nostro smartphone con un altro sempre basato su Android.
E qui entriamo nel paese delle meraviglie, perché il difetto principale di Android è la frammentazione: ogni casa produttrice differenzia le versioni base di Android per rendere unici i propri prodotti, essendo il sistema operativo di Google un software libero e gratuito. Le strade a questo punto che si aprono sono due: l’installazione di una ROM (un firmware alternativo di Android) basata sul codice originario del prodotto, ma con funzioni aggiuntive e ottimizzazioni; l’installazione di una ROM basata, direttamente o indirettamente, sui codici sorgente di google.
La più famosa e diffusa ROM alternativa è la cyanogenmod, una ROM AOSP (cioè Android Open Source Project, basata sui codici puri di Google), che si differenzia dalle ROM AOKP (Android Open Kang Project), basate sul “furto” di codice da altre ROM. Le ROM alternative sono un’infinità e infinite sono le possibilità di personalizzazione che offrono; le più popolari, inoltre, sono sviluppate per tutti i dispositivi mobile più diffusi (e per quelli meno diffusi esistono i “porting” realizzati da utenti più esperti e volenterosi).
Fatto tutto questo, ora dovremmo trovarci con un dispositivo interamente personalizzato, a partire dalla durata della batteria fino alla gestione della RAM: il sistema operativo si modellerà a seconda delle nostre esigenze. C’è però un effetto collaterale: tutte queste modifiche invalidano la garanzia e in casi estremi possono portare al blocco del telefono (il cosiddetto “bricking“, a seguito di un’installazione fallita di una ROM).
Per questo motivo, è sempre bene effettuare un backup del telefono, prima di installare qualsiasi firmware alternativo.