#Cile, I nemici della Libertà

L’11 settembre, i nemici della Libertà hanno compiuto un atto di guerra contro il nostro Paese e la notte è calata su un mondo diverso. Un mondo dove la Libertà stessa è sotto attacco.

La mattina dell’11 settembre del 1973, la Libertà si trovava nel palazzo presidenziale della Moneda, in Cile, e ad attaccarla erano i reparti eversivi dell’esercito cileno. Con Lei, quella mattina, morì il presidente Salvador Allende, rimasto con alcuni collaboratori all’interno della Moneda, rifiutando la fuga e l’esilio.
Quel golpe portò al potere una giunta militare guidata dai comandanti in capo dell’aviazione (Gustavo Leigh Guzman), della marina (José Toribio Merino Castro), dei carabineros (Cesar Mendoza Duran) e della fanteria (Augusto Pinochet Ugarte), ma fu fin da subito quest’ultimo, Augusto Pinochet, a detenere realmente il potere.

Il sogno di Salvador Allende, e con lui di milioni di cileni, era iniziato tre anni prima, nel 1970, quando a sorpresa era uscito vincitore dalle elezioni presidenziali, anche se di pochissimo, battendo il presidente conservatore uscente Jorge Alessandri.
Allende avviò fin da subito riforme tese alla redistribuzione del reddito e alla transizione ad un’economia di tipo socialista, attraverso la nazionalizzazione delle grandi industrie di rame e la redistribuzione delle grandi proprietà terriere, ma anche misure a favore della laicità, dell’alfabetizzazione e dei diritti delle donne.
Ma sulla sua strada, Allende trovò gli Stati Uniti, e in particolare la realpolitik del suo Segretario di Stato, Henry Kissinger, il quale dichiarò:

Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.

E i cittadini cileni, infatti, non furono lasciati a decidere da soli. Anzi, non gli fu proprio permesso di decidere. Gli Stati Uniti iniziarono una campagna anti-Allende su due fronti: da un lato, un sabotaggio economico che peggiorò la già precaria situazione dell’economia cilena (arrivarono persino ad un accordo con il sindacato dei camionisti che provocò un duro sciopero nel ’72), dall’altro, un sostegno da parte della CIA ai gruppi conservatori che già iniziavano a progettare un colpo di Stato.
Ufficialmente, non ci sono prove di un coinvolgimento diretto degli USA nel golpe militare, ma, usando le parole dello stesso premio Nobel per la Pace Kissinger, “ne avevano creato le condizioni il più possibile” (Non è quindi un novità l’usanza dei Nobel per la Pace di scatenare guerre!).

Si arriva così a quella soleggiata mattina di settembre, quando il sogno di un connubio tra socialismo e democrazia viene definitivamente spezzato, così come le vite di Allende e di tanti cileni che lo avevano sostenuto.

Sì, perché Salvador Allende era un socialista, un marxista (e per la precisione il primo presidente marxista democraticamente eletto in America Latina), ma anche un democratico. Nel marasma in cui la crisi economica, fomentata anche dal sabotaggio statunitense, aveva spinto il Cile, Allende rifiutò il consiglio dell’amico Fidel Castro di usare il pugno di ferro per riportare l’ordine. Rifiutò perché la “via cilena al socialismo” non prevedeva l’instaurazione di una dittatura di stampo sovietico, non prevedeva grandi purghe di staliniana memoria o un controllo onnipervasivo della società. Quello che Allende provò a realizzare fu un Cile giusto, e la giustizia sociale doveva passare anche per una giustizia politica, una giustizia che significava democrazia, con tutte le contraddizioni che essa porta sempre con sé (e noi italiani queste contraddizioni le conosciamo fin troppo bene!).

I “fatti cileni” ebbero pesanti ripercussioni anche sul nostro Paese, che alcuni vedevano molto simile allo Stato andino, con una sinistra forte e che sembrava ormai pronta per il “grande sorpasso” sulla DC e per “l’alternativa socialista” proposta da Lombardi.
E le ebbero anche su Enrico Berlinguer, che l’anno prima era diventato segretario del Partito Comunista, tanto da essere tra le cause del “compromesso storico” con la DC.
(Piccola nota sportiva: nel 1976 fu proprio il segretario del PCI a spingere fortemente perché l’Italia partecipasse alla finale di Coppa Davis di tennis contro il Cile di Pinochet, nonostante le tante voci favorevoli ad un boicottaggio dell’evento. Nell’incontro di doppio, Panatta e Bertolucci scesero in campo con due magliette rosse.)

Anche Berlinguer, come Allende, ha cercato durante tutta la sua storia politica di coniugare le istanze di uguaglianza e giustizia del socialismo con quella della libertà che è (o quantomeno dovrebbe essere) propria della democrazia. Un connubio, questo, capace di spaventare entrambe le superpotenze, tanto che il Cile di Allende fu osteggiato dagli Stati Uniti proprio come, cinque anni prima, la Cecoslovacchia di Dubcek fu schiacciata (in quel caso con una vera invasione armata) dall’Unione Sovietica e dagli altri Paesi del Patto di Varsavia.

Non possiamo sapere cosa sarebbe diventato il Cile, senza quel fatidico giorno di settembre, non possiamo sapere se Salvador Allende sarebbe riuscito nel suo ambiziosissimo tentativo o se avrebbe fallito, se avrebbe rinunciato al socialismo o alla via democratica per raggiungerlo, oppure se si sarebbe semplicemente dimesso.
Sappiamo invece cosa è diventato il Cile con la dittatura militare e sappiamo chi era Augusto Pinochet, sappiamo dei campi di concentramento e dei desaparecidos, sappiamo dei 30mila morti (ma sono stime difficili da confermare, essendo pressoché impossibile avere l’esatto numero dei desaparecidos) e dei 600mila torturati, nei 17 anni in cui mantenne il potere, prima come Presidente della Giunta Militare, poi come Capo Supremo della Nazione del Cile ed infine come Presidente, e perciò condanniamo lui, Henry Kissinger e tutti i responsabili, diretti o indiretti, di quei fatti.

E sappiamo anche che “Salvador era un uomo, vissuto da uomo, morto da uomo. Con un fucile in mano”, come cantavano i Nomadi, e perciò ricordiamo lui, Pablo Neruda, Victor Jara e tutte le altre vittime senza nome che avevano creduto in quel bellissimo sogno.

Ci viene fatto intendere, molto spesso, che la Guerra Fredda è stato il confronto tra capitalismo americano ed egualitarismo sovietico, tra democrazia e dittatura. Questa storia dimostra che non è stato sempre così: la Democrazia e il Socialismo, in questa storia, sono uniti, entrambi annientati dai nemici della Libertà.

(P.S.: La citazione iniziale non è di un qualche esule cileno fuggito dalla dittatura, ma fu pronunciata da George W. Bush all’indomani di un altro tragico 11 settembre, quello del 2001. L’ho voluta mettere all’inizio di questo articolo perché trovo che vi sia una sottile quanto crudele ironia, e mi scuso per questa espressione  in un contesto così serio, nel fatto che a pronunciarla sia il Presidente di quello Stato che lo stesso giorno di 28 anni prima fu il principale “nemico della Libertà”.)