Cara #Sinistra, #tiritwittoio

Il web, si sa, è una strana bestia. Sembra che sia davvero lo specchio dei tempi: un minuto (o anche meno, tante volte) di notorietà, o di importanza di una notizia. Una frase, una parola, un hashtag che sfonda, magari va in cima alla classifica quotidiana delle parole più gettonate su twitter. Poi, magari dopo tre o quattro minuti, si dà di nuovo un’occhiata alla stessa classifica e quella parola, quella persona, quell’argomento, non occupa più nemmeno la decima posizione.

E’ paradossale: in teoria se ci sono degli utenti del web (e dei social in particolare) interessati a un certo argomento, tale interesse dovrebbe “sopravvivere” almeno quelle 24 ore che diano un minimo di indicazione sociologica di chi abbiamo dall’altra parte dello schermo. E invece no. Questo strano balletto naif investe in particolare la politica fatta sui social network.

Grandissimo strumento di comunicazione fulminea e non mediata, twitter (ma facebook non si distanzia molto) dà all’utente il polso della situazione, ma in modo del tutto nuovo per come la politica e, con essa, la conquista del consenso politico-elettorale si è evoluta (o involuta, ma questa è un’altra storia…) nel nostro Paese. Twitter, giunto all’onore delle cronache politiche con il vero e proprio “bombardamento” degli utenti pro Rodotà nei giorni matti e disperatissimi della corsa al Colle, diviene il simbolo di un Paese, cioè di un insieme di cittadini, che ha pochi punti fermi. O meglio, un Paese in cui ciò che è davvero importante (la rotta da seguire per l’avvenir, direbbe Lelio Basso) dura un battito di ciglia.

In Italia la destra (quella berlusconiana, cioè tutta la destra italiana, da cl alla fiamma “tricolore”, che in realtà è di un colore solo, il nero) ha strutturato la propria forza su un fattore dominante: l’immagine. Tramite le televisioni, tramite il mito becero del celodurismo, tramite la subcultura del machismo. E i social network, piaccia o no, di immagini vivono. Anzi, sono immagini. Magari che durano un attimo, ma segnano incomparabilmente bene il confine tra forma e sostanza, sacrificando la seconda e santificando la prima.

Per la Sinistra, non quella in doppio petto di molti, troppi, dirigenti partitici, ma quella “liquida”, “slegata”, quella di chi in questi anni ha cercato, nonostante tutto, di non arrendersi alle umiliazioni alla scuola pubblica, ai tagli agli ospedali, alle quotidiane mortificazioni del potere verso le lavoratrici e i lavoratori, ecco per questa Sinistra c’è un problema enorme. E questo problema riguarda non solo la costruzione di adeguate reti sociali tra le tante persone comuni che vogliono impegnarsi nella costruzione di una vera e onesta Sinistra popolare, ma anche – e soprattutto – la non più rinviabile necessità di avere una Visione: un’immagine che sappia essere, al tempo stesso, piena di significato e rappresentante una Speranza.

Cara Sinistra, forse abbiamo sbagliato un po’ di cose in questi anni. Forse siamo stati fiacchi, incapaci di adeguarci alle velocissime novità del mondo. Forse non abbiamo colto tante opportunità per scardinare uno stato di cose che, inutile negarlo, alle vane e vuote promesse delle 3 “I” (Inglese, Istruzione, Impresa) ha concretamente opposto, nei fatti, la realizzazione delle 3 “P” (Paura, Precarietà, Povertà).

Cara Sinistra, oggi non possiamo più aspettare. Non possiamo più permettere che questo presente divori il nostro futuro. Abbiamo l’inderogabile necessità di ripartire dalla Costituzione repubblicana, dai suoi grandi principi di Libertà, Eguaglianza e Giustizia Sociale: dobbiamo portarli nelle piazze (virtuali e non), nelle scuole, nei luoghi di lavoro. E dobbiamo farlo noi giovani, in particolare.

Perché siamo noi giovani i primi a non aver nulla da perdere, se non le nostre catene, se non le nostre paure.

Cara Sinistra, riprendiamo in mano la Carta, difendiamo e diffondiamo quel libro, un libro vero. Cara Sinistra, non dobbiamo avere paura della Costituzione. Dobbiamo anzi leggerne gli articoli, con passione e con la certezza che quei Fiori di Carta, se messi in pratica, possono condurre l’Italia fuori dalle crisi: quella economica, quella politica e quella di consapevolezza civica.