#Andreotti, la storia non lo assolverà

di Pierpaolo Farina

Giulio Andreotti, alla fine, è morto. Non erano passati nemmeno pochi minuti dalla notizia, che subito le fanfare di regime sono partite per incensare il gran cerimoniere al centro di tutti i misteri d’Italia. Era un politico puro, nel senso machiavellico del termine, aveva ricoperto 7 volte la carica di Presidente del Consiglio e 22 volte quella di ministro, tra vari dicasteri.

Trovo alquanto ripugnanti gli attestati di stima, il minuto di silenzio alla Camera, così come tutta la retorica sul “se ne va un pezzo di storia”: sì, è vero che se ne va un pezzo di storia, ma se ne va la storia peggiore. Certo, va ringraziato, perché come disse Gaber, “Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona“.

Ma non provo alcuna pietà, se non il rispetto che si deve di fronte alla morte, per una persona che ha incarnato dal 1946 ad oggi tutti i vizi e le degenerazioni dell’Italia repubblicana. Lo ben riassume in un’intervista al Divo Eugenio Scalfari:

“Dunque, presidente, è un caso che i familiari di alcune persone assassinate la odino? La odia il figlio del generale dalla Chiesa: dice che c’è la sua mano nell’omicidio del padre. La odia la moglie di Aldo Moro che la ritiene uno dei responsabili della morte del marito. È un caso che la odi la moglie del banchiere Roberto Calvi? Dice che lei minacciò prima e ordino poi l’omicidio di Calvi. Dice che non l’uccise lo Ior, ma due persone: Andreotti e Cosentino, che adesso è morto. E poi mi domando: è un caso che lei fosse ministro dell’Interno quando Pisciotta è stato assassinato con un caffè avvelenato? Si disse che Pisciotta avrebbe potuto rivelare i mandanti dell’omicidio del bandito Giuliano. È un caso che il banchiere Michele Sindona sia stato assassinato allo stesso modo? Anche lui, costretto in carcere, avrebbe potuto fare rivelazioni fastidiose. È un caso che tutti dicano che lei abbia ripetutamente protetto Sindona? È un caso che il suo luogotenente Evangelisti abbia incontrato Sindona da latitante, a New York, in un negozio di soldatini? È un caso quello che dice il magistrato Viola, che se lei non avesse protetto Sindona non sarebbe mai maturato il delitto Ambrosoli? E ancora: è un caso che lei annota tutto scrupolosamente nei suoi diari e dimentica di annotare del delitto Ambrosoli? Ed è un caso che nel triennio ’76-’79, quando lei era Presidente del Consiglio, tutti i vertici dei servizi segreti erano nelle mani della P2? È un caso che nei suoi ripetuti incontri con Licio Gelli, capo della P2, parlavate – solo ed esclusivamente – dei desaparecidos sudamericani? Così ha detto lei: “solo chiacchiere amichevoli”. Infine, è un caso che lei sia stato tirato in ballo in quasi tutti gli scandali di questo paese? E tralascio tutti i sospetti che aleggiano sui suoi rapporti con la Mafia. Insomma – come ha detto Montanelli – delle due, l’una: o lei è il più grande, scaltro criminale di questo paese, perché l’ha sempre fatta franca; oppure è il più grande perseguitato della storia d’Italia. Allora le chiedo: tutte queste coincidenze sono frutto del caso o della volontà di Dio?”

Quando Scalfari poneva queste domande, Andreotti non era ancora stato prescritto per concorso esterno in associazione mafiosa: i suoi rapporti con Cosa Nostra furono organici e accertati fino al 1980. Dunque, un signore di tal fatta dovrebbe essere onorato dallo Stato italiano? E per quale motivo? Fu uno statista chi piegò lo stato per propri interessi di bottega, come è ben esemplificato sempre in un articolo di Scalfari, “il metodo Andreotti”?

Giorgio Napolitano ha detto che il giudizio sulla sua persona spetta alla storia. Come ha detto in un’intervista all’Espresso Nando dalla Chiesa: “Non credo che la Storia lo possa assolvere. Lo assolverà la ragion di partito forse, ma non quella di Stato. Giulio Andreotti non era un uomo di Stato.

Il suo partito era la Democrazia Cristiana. Ma le “assoluzioni” vengono da tutto l’arco costituzionale, dal PD al PDL, con qualche eccezione. La ragion di partito lo assolverà, ma la vera domanda è: come possono assolverlo gli eredi di Enrico Berlinguer?